venerdì 9 ottobre 2020

Slayer: "Seasons in the Abyss" (1990)



(disco completo qui: https://tinyurl.com/y42zqxvn)

9 di ottobre del 1990, gli Slayer escono con il loro quinto album da studio, che risponde al nome di "Seasons in the Abyss". L’album, a differenza dei precedenti lavori, in cui il songwriting portava la firma quasi esclusivamente di Hanneman e King (più Hanneman che King in realtà), stavolta vede Tom Araya come principale compositore.

Con questo nuovo parto, gli Slayer mettono a segno un altro colpo, firmando l’ultimo dei loro capolavori. Più bistrattato dei precedenti masterpiece "South of Heaven" e "Reign in Blood", in effetti è un disco fatto più di alti e bassi, con alcuni pezzi troppo prevedibili, eseguiti tuttavia con la maestria di mestieranti di alto livello. Per certi versi, è un compromesso fra la furia thrash imbevuta di hardcore di "Reign in Blood" (pur non raggiungendo i picchi di velocità e ferocia di quest’ultimo) e la mortifera cadenza doomy di "South of Heaven". La tipologia compositiva rimane invariata. Opzione uno: bordata al fulmicotone poggiata sui consueti due quarti slayeriani. Opzione due: uptempo dinamico caricato con elevata dose di groove. Opzione tre: ritmiche cadenzate e riff sinistri e conturbanti.

Fra i pezzi più veloci e cazzuti del disco, svetta su tutti l’anthemica "War Ensemble" posta in apertura, diventata uno dei più poderosi cavalli di battaglia del gruppo, immancabile in ogni prestazione dal vivo del gruppo californiano. L’immediato e indimenticabile refrain è entrato di diritto nell’elite del patrimonio dell’umanità metallara.

Sugli scudi anche l’accattivante "Spirit in Black", pezzo diretto e bello tosto, composto da Kerry King, che mette in risalto i notevoli progressi del gruppo nel creare pezzi più propensi a una forma canzone più accessibile, pur mantenendo inalterato il loro trademark e soprattutto la loro incazzatura.

Meno convincenti ma non certo da buttare le varie "Blood Red", "Hallowed Point" e "Born of Fire". "Temptation" invece finisce per giocare il ruolo della pecora nera dell’album. Decisamente di livello superiore i pezzi più ragionati quali "Expendable Youth", composizione che affronta il tema delle difficili condizioni sociali nei ghetti losangelini, mentre più monocorde risulta "Skeleton of Society".

Arriviamo infine a parlare di due dei pezzi forti di "Seasons in the Abyss", assieme ovviamente all’opener.

"Dead Skin Mask", che riporta alle atmosfere lugubri di "South of Heaven", e che inaugura la rassegna slayerana delle canzoni a tema serial killer americani, trattando in questo caso di Ed Gein, lo psicopatico che ispirò vari personaggi cinematografici fra cui la figura di Leatherface in Texas Chainsaw Massacre. La saga proseguirà negli album successivi con i pezzi "213" ("Divine Intervention"), "Stain of Mind" ("Diabolus in Musica") e "Deviance" ("God Hates Us All").

Infine, a chiudere l’album, provvede la leggendaria title-track: quasi sette minuti di superbo techno-thrash dal gusto wagneriano, dalle sfaccettature progressive. La lunga sequenza iniziale strumentale mette in mostra una band estremamente preparata e conscia dei propri mezzi, che non merita di essere ricordata solo come gli smanettoni ultraveloci che composero "Reign in Blood". Lombardo, all’epoca era considerato come il miglior batterista in ambito metal, e ascoltando la sua prestazione su questo pezzo in particolare potete capire perfettamente il perché. Oltre all’indiscutibile livello tecnico (molto buono, ma non fra i top della gamma), che passa in secondo piano, è il suo gusto esecutivo a far la differenza e a impreziosire ulteriormente le varie composizioni e a renderle uniche. Probabilmente, si tratta di una delle migliori composizioni prodotte dagli Slayer. Anzi, sbilanciamoci pure, e diciamo che si tratta del loro più gran capolavoro in assoluto. Sempre a meno che non diate la priorità a un po’ di sano headbanging selvaggio.

Dopo il trionfale tour promozionale dell’album, Lombardo deciderà di lasciare la band (lo aveva già fatto per un breve periodo durante il tour di "Reign in Blood"), stavolta definitivamente, almeno fino al 2001, anno del suo ritorno in grande stile. Araya e soci lo rimpiazzarono con Paul Bostaph, altro pezzo da 90, con cui incisero altri tre album da studio (più uno di cover hardcore e punk) in cui apportarono sostanziali modifiche al loro stile, senza però mai riuscire a eguagliare, o anche avvicinare, i fasti di "Seasons in the Abyss" e dei lavori precedenti incisi negli anni ottanta.

- Supergiovane

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