giovedì 8 ottobre 2020

Alter Bridge: "AB III" (2010)


Usciva dieci anni fa oggi "AB III", terzo disco degli americani Alter Bridge. Il disco aumentava il tasso di complessità (ma anche paraculaggine) rispetto ai primi due splendidi lavori del quartetto formato dal cantante-chitarrista Myles Kennedy con i tre ex-Creed Mark Tremonti (chitarra, voce), Brian Marshall (basso) e Scott Phillips (batteria).




(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/yxuj237b)

Otto ottobre duemiladieci. Esce "AB III". Titolo che spoilera simbolicamente il terzo lavoro da studio degli Alter Bridge. Preciso come un metronomo, il gruppo americano guidato da Mark Tremonti e Myles Kennedy ha sempre pubblicato un album ogni tre anni, le prime settimane d’autunno.

Dopo essersi confermati come i migliori gruppi di hard rock americano moderno degli anni duemila grazie ai due precedenti masterpiece "One Day Remains" e "Blackbird", le aspettative riguardanti questo nuovo lavoro non potevano che essere molto alte. "ABIII" si conferma come un prodotto estremamente valido, che definisce definitivamente lo stile del gruppo, e che nel contempo ne mette in evidenza i limiti.

Non chiamiamoli semplicemente “un’altra band post grunge”, gli Alter Bridge suonano un hard rock massiccio (talvolta sconfinando verso lidi metal) di livello tecnico e compositivo nettamente superiore alla media di tutti gli altri, in cui le due punte di diamante del gruppo, ossia la premiata coppia Tremonti e Kennedy, impreziosiscono il valore delle composizioni ad livelli altissimi.

Tremonti con gli Alter Bridge ha definitivamente raggiunto il suo apice, avvicendando riff duri e granitici ad arpeggi melodici, e producendo assoli di qualità DOP. Kennedy, che già era un fenomeno ai tempi del suo esordio datato 1998 con la sua prima band Mayfield Four (per appurarlo, basta recuperare "Fallout" e i primi concerti reperibili sul tubo), è il compagno ideale, il quale è in grado di conferire profondo pathos alle composizioni grazie alle sue singolari doti interpretative e al suo timbro vocale.

Con "Blackbird" il gruppo si era buttato in tematiche drammatiche e in un sound più tenebroso, prendendo definitivamente le distanze dal loro passato con i Creed. Con "ABIII" il gruppo rincara la dose. L’album, pur non essendo propriamente un concept, ha un filo comune che lega tutti i brani presenti sul disco, e affronta tematiche più cupe e depressive, legate alla perdita delle proprie certezze, del proprio credo, delle proprie speranze.

L’incipit del pezzo d’apertura è perfettamente esemplificativo di ciò. "Slip to the Void" apre le danze, la chitarra effettata di matrice alternative accompagna la voce magnetica di Kennedy, fino al primo break in cui questo mood misticheggiante viene spezzato dalla durezza dei riff di chitarra, Kennedy sale di ottave, mantenendo comunque il senso dell’armonia anche nelle fasi più pesanti della canzone. Un ottimo inizio, non c’è che dire. Questa "Slip to the Void" entra di diritto fra le composizioni più riuscite del quartetto americano.

La seguente "Isolation", scelta come primo pezzo, conferma le qualità del gruppo, ma anche i suoi difetti. Il pezzo è solido e roccioso, estremamente diretto e ottimamente suonato. Non a caso venne scelto come singolo di lancio dell’album. Cosa non funziona? Kennedy non è portato a comporre e supportare questo tipo di composizioni. E con lui, il problema è che gli Alter Bridge più si appesantiscono più si appiattiscono con sonorità dure ma in cui il fattore “atmosfera” non viene elaborato a dovere. Le linee vocali sono le prime a risentirne, risultando poco ispirate e forzate.

Anche e sopratutto con Slash, Myles Kennedy metterà in risalto questo limite del suo timbro vocale e approccio. E su ABIII i pezzi che seguono questa falsariga sono tanti, vedi "I Know It Hurts" o "Make it Right", o i più riusciti e longevi "Still Remains", "Coeur D’Alene", "All Hope is Gone". Per carità, pezzi di buon livello, ma il cui grado di ispirazione è posto varie spanne sotto i brani che andavano a completare i primi due album.

Altro fattore che potrebbe far storcere il naso a qualcuno, è la presenza di troppe ballad, e troppo paracule. Su tutte, spicca "Ghost of Days Gone By", pezzo molto radiofonico e ruffiano, Kennedy ovviamente fa risaltare la sua voce favolosa, ma musicalmente qua siamo più vicini al classico teen rock che alle coordinate compositive del gruppo.

Valide ma anche melense risultano "Life Must Go On" e "Wonderful Life", pezzi che lasciano intravedere qualche spiraglio di luce in mezzo all’umore nerissimo che pervade l’album. Forse meglio allora soffermarsi su una "Breathe Again", altro pezzo 'solare' in cui Kennedy offre una prestazione di ottimo livello concedendosi alcuni acuti che rimandano ai suoi vecchi cari Mayfield Four.

In apertura abbiamo detto che gli Alter Bridge sono abitudinari. Oltre alla regola dei tre anni esatti fra un’uscita e la seguente, c’è un’altra bella tradizione che il gruppo ha sempre seguito: chiudere l’album con un outlier di livello assoluto. In questo caso, spetta a "Words Darker Than Their Wings" (frase presa in prestito dal Maestro Aemon nel celebre libro Games of Thrones, quando ancora era solo una versione cartacea). Per la prima volta, vediamo alternarsi al microfono Kennedy e Tremonti, che dopo quest’album esordirà anche come cantante nel suo progetto solista, a cui tutt’ora sta dando continuità (e forse, puntare più a quello che alla band madre). Il pezzo potrebbe benissimo sembrare una versione buckleyana del gruppo dopo una giornata grigissima. Tremonti non sfigura, e se la sua performance manca di risalto è solo colpa di un eccezionale Kennedy, che anche in qyuesto caso si lancia in una serie di acuti da paura nella parte finale del brano.

L’album consentirà comunque agli Alter Bridge di consolidarsi come uno dei più importanti act moderni, riuscendo a toccare un obiettivo che nemmeno i Creed avevano raggiunto: sfondare e venire acclamati pure nel vecchio continente. Nel seguente tour in Europa, le date andarono praticamente tutte sold out, incluse le quattro tenute in Italia.

Nonostante il grande successo commerciale, alcuni fan della prima ora resteranno delusi dallo stallo compositivo dell’album. Gli Alter Bridge però si rifaranno tre anni dopo con il formidabile "Fortress", il loro lavoro più duro, tecnico, autoriale, a parere di chi scrive. Un album sottovalutato che non venne accolto a dovere, e quello si che meriterebbe di venire rivalutato; ma ne parleremo più avanti. Fra tre anni esatti.

- Supergiovane

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