sabato 10 ottobre 2020

Lucio Battisti: "la Sposa Occidentale"

Usciva il 10 ottobre del 1990 "la Sposa Occidentale", forse il capolavoro assoluto della seconda fase della carriera di Lucio Battisti, quella dominata dalla collaborazione col paroliere e poeta Pasquale Panella. Disco rivoluzionario, unione fra immediatezza e complessità, emozione e astrazione, è uno dei massimi contributi del cantautore italiano alla musica pop.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/y4or5j6j)

Gli esperimenti del bizzarro duo Battisti-Panella hanno sempre avuto, come obiettivo, di scassinare le regole cardine della forma canzone, italiana in primis, ma, più in generale, quelle del “pop” (virgolette che sono vaste ali d’angelo, capaci di prendere sotto di esse tutti i generi che hanno fatto la fortuna della discografia occidentale - e di quella di Battisti spesso, aggiungiamo noi). Come due ladri gentiluomini e prometeici, i due autori si sono serviti di strumenti sofisticati, per non dire avveniristici, per fare irruzione nel futuro della musica e portarne dei campioni ai loro contemporanei, trent’anni fa.

Il progetto avant-pop iniziato con l’elegantissimo “Don Giovanni” e proseguito con l’interlocutorio “L’Apparenza” arriva infine a sperimentare con la struttura stessa della forma canzone, precedentemente soltanto scalfita. E il periodo storico non potrebbe essere più appropriato: il 1990 segna l’epilogo della lunga saga del synth-pop, controverso dominatore del decennio precedente. L’ascesa dei Nine Inch Nails in America e, soprattuto, l’uscita di “Violator” dei Depeche Mode in UK, segnano l’inizio di una fase nuova nell’elettronica di massa, diversa nei suoni e nelle atmosfere.

“La Sposa Occidentale” ha diversi tratti in comune con “Violator”, se non altro perché entrambi gli album sembrano appartenere ad un limbo generico che non è già più synth-pop, ma non è ancora definitamente “nuovo”. I Mode si affidavano alle atmosfere oscure conturbanti che già avevano marcato i loro dischi precedenti, arricchendoli con ulteriori livelli di suoni eterei; al contrario, Battisti e la band di turnisti inglesi che lavora con lui, capitanati dal produttore e tecnico del suono Greg Walsh (veterano che vanta, tra le sue collaborazioni, anche Tina Turner e Pink Floyd), confezionano otto tracce fondamentalmente luminose, candide, le cui atmosfere astratte sono installazioni di arte moderna costruite attorno ai testi di Panella, qui forse all'apice della sua collaborazione con Battisti per continuità e, ehm… immediatezza.

“Tu Non Ti Pungi Più”, apertura dell’album, è il ritratto di una ragazza vivace, gioiosa, anche se il titolo stesso getta un’ombra sul suo passato (tossicodipendenza? Mi pare di non aver trovato molte altre letture di questo tipo sulla canzone, quindi forse quest’interpretazione rivela più su chi scrive la recensione che su chi ha scritto il testo); “Potrebbe Essere Sera” è invece un affresco collettivo di una città al calar della sera, con i suoi colori e i suoi umori, in cui di nuovo 'la ragazza' si muove voluttuosa e sensuale, mentre 'le foglie fanno i compiti sui rami, i bilanci i sogni… la lettura con occhi castani'.

I testi sono certo estremamente intellettuali, con un uso generoso di figure retoriche di ogni tipo, giochi di parole, immagini bizzarre e paradossali, ironia, sarcasmo, ameno cazzeggio, chiasmi allitterazioni ed enumerazioni (non è vero, le enumerazioni sono roba mia). L’atmosfera surreale è però tutt’altro che arida, ed anzi arriva facilmente ad emozionare l’ascoltatore che faccia lo sforzo di seguire la tortuosa logica del paroliere.

I due brani seguenti, senza dubbio i gioielli della corona della Sposa Occidentale, sono certamente più immediati. Per cominciare, il ritratto femminile di “Timida Molto Audace” è pura sensualità: 'Neri i tuoi neri sconvolti/ Divampati imperi irrisolti/ E matematicamente rivolti/ A contenere zeri' è la descrizione di un viso ovale contornato da capelli corvini, cui fa seguito il leggermente meno criptico 'Impensabili però malleabili/ Ballabili mammelle/ Abbracciate alle quali volteggi/ Sotto il lampadario delle stelle/ Inutilmente imitatrici dei tuoi denti' e scusate, ma questa si chiama poesia. Come se non bastasse, la canzone letteralmente trabocca di strati e livelli di melodie deliziose, in costante evoluzione, fregandosene di strofe ponti e ritornelli.

La title track, al contrario, si basa su un pattern melodico/ritmico molto rigido e ci stende sopra una satira caustica sulla distanza che separa, in amore, parole e fatti, tra ciò che si promette alla fidanzata e ciò che poi si dà alla sposa: 'un fiore che un fiore/ io non te l’ho mai portato/ vuoi improvvisato, vuoi confezionato ma/ trasferisco da te tutti i fiorai/ è più facile a dirsi, e infatti te lo dico' e scusate ancora, ma questo si chiama LOL.

Già qui ci si potrebbe abbracciare forte e scendere in strada con i tricolori in spalla a gridare l’orgoglio nazionale, ma c’è tutto un lato B a rincarare la dose: highlights come “I Ritorni”, malinconica synth-ballad dall’inatteso calore, e, soprattutto, “Campati in Aria”, che parrebbe muzak VaporWave ma invece è l’ennesima pepita d’oro della discografia di Battisti.

Completano la tracklist “Alcune noncuranze” e “Mi riposa”, onorevoli filler il cui solo peccato è di non avere melodie straordinarie a supportarne i testi, comunque intelligenti.

Del Battisti autore e interprete si è già detto tutto quello che c’era da dire, ma quello che c’era da dire è semplice e lo ribadiamo: è un genio con pochi paragoni nel mondo, uno che potrebbe stare in una lista con Zappa, Eno e le altre leggende innovatrici del ‘900. Quello che forse non si è detto abbastanza, su “La Sposa Occidentale”, è che raramente intelligenza ed emozione si sono incontrate in maniera tanto compiute come in questo caso, raramente un disco ha richiesto all’ascoltatore uno sforzo tanto grande per poi dargli esattamente quello che l’ascoltatore di aspettava: canzoni d’amore, sensuali e calde, ammantate in un abito di design fatto vortici di parole e di suoni inattesi. Meraviglia, meraviglia.

- Spartaco Ughi

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