lunedì 5 ottobre 2020

Led Zeppelin: "Led Zeppelin III" (1970)

Cinquant'anni fa oggi veniva pubblicato "Led Zeppelin III", terzo album in studio dei Led Zeppelin, uno dei massimi gruppi della storia del rock. L'album mostrò gli Zeppelin in piena fase sperimentale: oltre agli usuali hard rock granitici e blues iperacidi, infatti, troviamo arrangiamenti mediorientali, strumenti inusuali e profonde influenze folk, con le quali stupirono (e forse delusero anche un po') il pubblico e la critica più conformisti. 



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y2hkxndt)

Dopo avere completato una mole immensa di commerci sulle due sponde dell'Atlantico, i Led Zeppelin riducono l'attività concertistica intervallandola alla scrittura e all'incisione del loro terzo album, che sarà chiamato semplicemente "Led Zeppelin III" seguendo la tradizione dei due dischi precedenti.

Il pubblico e la critica lo considerano probabilmente il disco più atteso dell'anno, ma Jimmy Page e Robert Plant in particolare non hanno alcuna intenzione di dare al pubblico quello che vuole. Infatti i due si ritirano a Bron-Yr-Aur, un cottage sulle montagne del Galles, e preparano un buon numero di canzoni ispirate dal folk britannico e da quello mediorientale, che costituiranno l'ossatura del disco, confinando i brani hard rock e blues a un ruolo minore.

La scelta spiazza pubblico e critica: è vero che il disco raggiunge in breve il primo posto sia negli Stati Uniti che in UK, ma le vendite presto rallentano, perché, come dice Robert Plant, il pubblico si aspettava una "Whole Lotta Love part 2" o qualcosa tipo "Paranoid" dei Black Sabbath. Ma a parte la devastante fiammata heavy metal di "Immigrant Song", uno dei pezzi più celebri del complesso, di veramente pesante su questo disco c'è poco, almeno in senso tradizionale.

Oltre a "Immigrant Song", l'unico altro pezzo in stile 'classico' da primi due album è "Since I've been loving you", che continua la tradizione dei blues acidi cantati da un Plant in stato di grazia, qui protagonista di una delle sue prove vocali più ardite, in cui si inerpica su una scala fatta di crescente angoscia e disperazione per una donna (uno dei topoi lirici del blues), influenzando nel contempo direttamente o indirettamente sei o settemila cantanti heavy metal.

Al di là di questi due capolavori assoluti, il disco si rivela intrigante, anche se estremamente diverso da ciò a cui gli Zep ci avevano abituati. Forse non così diverso, se pensiamo che "Friends", con le chitarre di Page in accordatura aperta e gli arrangiamenti di archi di John Paul Jones, seguono influenze mediorientali già esplorate sul primo disco in "White Summer/Black Mountain Side", mentre "Tangerine", la delicata ballata folk per chitarra acustica e pedal steel, è una versione più riuscita e struggente di "Your time is gonna come". E persino sull'ultraviolento "Led Zeppelin II" trovava spazio un pezzo folk come "Ramble On", fratello più agitato della meditabonda e ironica "That's the way" posta al centro del lato B.

"Celebration Day" e "Out on the tiles" completano il lato A con due pezzi di hard rock che non replicano i fasti dei primi due album: il primo è un pezzo nel quale forse il gruppo non crede fino in fondo, reso interessante soprattutto dal timbro sporchissimo della chitarra elettrica, mentre il secondo, sorta di aggiornamento di "Living Loving Maid" da "Led Zeppelin II", risulta più coinvolgente grazie soprattutto al fenomenale lavoro di John Bonham alla batteria.

Per quel che riguarda le rimanenti tracce del disco, "Gallows Pole", che apre il lato B, è la migliore, un brano tradizionale folk trasformato in una epica acustica, ancora una volta sorretta dall'interpretazione incredibile della sezione ritmica, capace di imporre al brano una dinamica da treno in corsa e trasmettere così il senso di fretta e terrore del condannato all'impiccagione. "Bron-Yr-Aur Stomp" è un pezzo country folk che Jones e Page si divertono ad arrangiare con mandolino e banjo, mentre "Hats off to (Roy) Harper" è un ri-arrangiamento per bottleneck di un vecchio pezzo di Bukka White, "Shake 'em on down", dedicato all'amico Roy Harper. Già non un gran che in partenza, è pure rovinato da un uso del phaser sulla voce di Plant, non proprio un grande tributo per il cantautore inglese né un buon omaggio al bluesman nero.

"Led Zeppelin III", giudicato da uno standard obiettivo, è un disco di rock piuttosto sperimentale, che contiene alcuni brani favolosi e altri meno interessanti e originali. Disco forse più importante che riuscito, forse più rispettato che amato, rappresenta una tappa di transizione indispensabile sulla via che porta al quarto album, quello senza titolo che contiene "Rock and Roll" e "Stairway to Heaven". Ma chi scrive non se la sente di considerarlo un capolavoro alla stregua dei due che lo precedono e di quello che lo segue.

- Prog Fox

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