giovedì 24 settembre 2020

Megadeth: "Rust in Peace" (1990)

Usciva trent'anni fa oggi "Rust in Peace", a nostro parere il massimo album della carriera dei Megadeth e uno dei più importanti e completi album di thrash metal mai pubblicati.



(album completo qui: https://tinyurl.com/y54n2ret)

Quando si parla di "Rust in Peace" si parla del candidato a miglior disco thrash metal di sempre. Non il primo ("Kill'em all" dei Metallica), non il più innovativo ("Reign in Blood" degli Slayer), ma forse il disco che porta a compimento la parabola di un intero sottogenere.

I quattro musicisti coinvolti nell'operazione sono corresponsabili ad altissimo livello della sua riuscita. Dave Mustaine, fumantino e imprevedibile leader del gruppo, suo cantante, principale autore e chitarrista innovativo, sporchissimo, violento e creativo. Il bassista Dave Ellefson, l'unico che in tantissimi anni di carriera ha avuto il coraggio e l'abilità di affiancare Mustaine (e anche di dirgli di no), autore e co-autore di numerosi classici del gruppo.

E poi i nuovi arrivati. Marty Friedman, virtuoso della chitarra, già sodale di un altro maestro della sei corde come lo sfortunato Jason Becker, che raccoglie la sfida di Mustaine con la sua tecnica sopraffina e ingaggia con lui duelli clamorosi pezzo dopo pezzo. Nick Menza, batterista dalla solida formazione jazz, forse il più raffinato esponente dello strumento nel metal di quegli anni.

Con questa formazione, la più nota del gruppo, che rimarrà stabile per diversi anni, i Megadeth, che ci avevano già regalato alcuni ottimi album, realizzano il loro capolavoro.

"Rust in Peace" si apre con uno dei più grandi brani di tutta la storia dell'heavy metal, "Holy Wars... The Punishment Due". Su un testo evocativo ma abbastanza poco chiaro, che potrebbe parlare del conflitto israelo-palestinese come della cattiva influenza della religione nelle vite delle persone, il gruppo si lancia in una cavalcata pazzesca, fra riff strepitosi, assoli al fulmicotone e una ritmica trascinante ed elaborata.

Tanto per "Holy Wars" quanto per la successiva "Hangar 18" si potrebbe parlare quasi di thrash prog. Pezzo che si riferisce nel titolo al film omonimo su una cospirazione aliena, fu un altro singolo di successo e alterna anch'esso riff e strofe thrash a sezioni strumentali che sembrano mutuare cambi di tempo, ubriacature soliste e giustapposizioni (l'intro è praticamente in stile power metal tedesco) come i migliori brani del progressive classico (e del nascente prog metal).

Seguono "Take no prisoners", in cui emergono neanche troppo velatamente le radici hardcore di Mustaine e del thrash metal, e poi la strepitosa "Five Magics", un pezzo incredibilmente malvagio e perverso, degno dei Black Sabbath e di Ozzy Osbourne: la canzone suona sbagliata a causa di diverse scelte compositive inusuali come il riff discendente nel ritornello, delle voci alterate in studio, e si bea ancora una volta di un assolo incandescente in fine di brano.

"Poison was the cure" è poco più che un interludio che unisce una introduzione dal sapore blues metal, con più che qualcosa degli ZZ Top nel sangue, e una parte thrash molto molto influenzata dall'hardcore, prima di una sezione strumentale che riesce mirabilmente a unire i due sapori e sublimarli grazie a un assolo ispirato.

Se finora il disco è stato composto dal leader Mustaine, la parte centrale del lato B è dedicata alle collaborazioni in fase di scrittura fra Mustaine e il fido bassista Ellefson, che testimoniano dell'umiltà artistica di Mustaine stesso, sempre pronto a riconoscere di fatto la necessità dell'altro da sé in un progetto corale come un gruppo rock.

Ellefson contribuisce sia a testi sia a musiche in tre brani eccellenti che permettono di preservare l'altissima qualità dell'album. "Lucretia" è il pezzo più zeppeliniano del lotto, aperto da un riff ancora una volta incredibilmente melodico e memorabile. "Tornado of Souls" rievoca le dinamiche thrash prog esplorate in "Holy Wars" e "Hangar 18" prendendo ispirazione dall'heavy metal visionario degli Iron Maiden sia nella struttura che nell'assolo centrale, conseguendo così un altro pieno successo artistico. "Dawn Patrol", invece, è poco più che uno scherzo che serve a tirare il fiato prima di introdurre il finale dell'album.

Dopo questi tre brani, ci troviamo infatti con "Rust in Peace... Polaris", che ci riporta quasi ai Megadeth degli anni precedenti, in una sorta di ricapitolazione di quanto fatto non solo in questo album ma in tutta la carriera.

Che altro dire di "Rust in Peace"? Disco degno di stare ai posti più alti delle classifiche dei migliori dischi di thrash metal, heavy metal e rock in generale, è un disco imprescindibile per chiunque abbia anche solo un vaghissimo interesse nel rock duro e nel metallo pesante. Thrash prog, baby.

- Prog Fox

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