sabato 12 settembre 2020

David Bowie: "Scary Monsters (and Super Creeps)" (1980)

Il 12 settembre di quarant'anni fa usciva "Scary Monsters (and Super Creeps)", album che chiudeva una fase, forse la migliore, del Duca Bianco, sua altezza David Bowie, quella che lo portò dalla nascita del glam al ruolo di padre nobile della new wave e della musica industriale. "Scary Monsters" era l'ennesimo disco fenomenale di un artista fenomenale.



(per il disco completo: https://tinyurl.com/y4kn9x4c)

Icona di avant-rock o popstar mondiale? Ricerca di suoni, armonie, strutture nuove o assedio alle classifiche? Dopo un decennio in cui il Davide ha navigato il Glam e anticipato la New Wave, è sopravvissuto a dipendenza da cocaina e possessioni diaboliche, ed ha incastonato sé stesso nella corona del rock inglese, il nostro decide senza esitazioni: vuole tutto. Del resto, una decade di collaborazioni non è stata spesa invano, e su uno dei dischi più commerciali da lui prodotti fino a quel momento torna ad imperversare la chitarra astrattista di Robert Fripp (con una capatina di ospiti e session men di primo livello, tra cui anche Pete Townshend), in aggiunta a Carlos Alomar alla chitarra, Dennis Davis alla batteria, George Murray al basso, e ovviamente Tony Visconti al mixer. Il risultato è eccezionale, e verrà a più riprese nominato “l’ultimo grande disco di Bowie” e usato come pietra di paragone per i lavori successivi.

“Scary Monsters” è un disco di pop-rock elettronico estremamente sofisticato, ricco di vibrazioni disturbanti e note dissonanti, di suoni all’avanguardia e di melodie tanto accattivanti quanto sbilenche. Un album in cui la chitarra di Robert Fripp è protagonista indiscussa e inconfondibile, squarciando le tele lisergiche dipinte dal resto della band con incursioni tangenti l’atonalità (oggi è giornata di paroloni, chi scrive chiede venia). Aperta da un recitato giapponese, “It’s No Game (Part 1)” è un affresco apocalittico dei tempi che correvano (e corrono), tra neo-fascismo rampante e crisi migratorie, e ci informa dell’atmosfera cupa e disturbante del resto dell’album. La title track, i singoli “Ashes to Ashes” e “Fashion” (due delle canzoni “pop” più riuscite dell’intera discografia di Bowie), “Scream Like a Baby” e “It’s No Game (Part 2)” rappresentano un corpus stilisticamente omogeneo, in perfetto equilibrio tra weird ed orecchiabilità. Nello stesso solco la cover “Kingdom Come”, da un tema di Tom Verlaine. A rompere gli schemi ci pensano, nell’ordine: lo strano tempo dispari e il testo bizzarro di “Up the Hill Backwards”; un remake di “Heroes” chiamata “Teenage Wildlife”, apparente presa in giro delle nuove leve della New Wave che prendevano più di uno spunto dal Bowie musicista e dal Bowie icona di stile (e lo slogan pubblicitario che accompagnerà l’uscita dell’album sarà “Spesso imitato, raramente eguagliato”), ma soprattutto splendida cavalcata solare ed energetica; e “Because you’re Young”, in cui Pete Townshend prende il posto di Fripp come chitarra ospite, a dare al tutto un ritmo più saltellante.

Ma stiamo qui parlando dell’ultimo “grande” disco del rimpianto Duca Bianco? Se è vero che gli anni ’80 di Bowie deluderanno in buona parte le (altissime) aspettative, è anche vero che ci sono almeno due o tre album successivi a questo che possono certamente competere con “Scary Monsters (and Super Creeps)” senza tema di essere messi in imbarazzo. Di grande disco si tratta senza dubbio, e forse il migliore per capire davvero quanto preciso fosse il fiuto di Bowie, certamente non l’unico che abbia pubblicato un disco così dissonante, così strano, così autoreferenziale e meta-testuale, con i suoi rimandi alla nuova onda del rock e la ricapitolazione delle epoche precedenti (a partire da Major Tom, un tema che non a caso ritornerà nei migliori dischi degli anni ’90 e oltre e segnerà anche l’epitaffio di “Lazarus”), ma certamente uno dei pochi a farlo con il dichiarato scopo di cercare, trovandolo, il successo commerciale. Se volete sapere se Bowie fa per voi o no, questa potrebbe essere la via più breve per trovare la risposta.

- Spartaco Ughi

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