martedì 8 settembre 2020

Afterhours: "Siam tre piccoli porcellin" (2000)

L'8 settembre di vent'anni fa veniva incisa a Modena "Cose semplici e banali", ultima delle trentuno tracce che sarebbero state incluse nella doppia raccolta dal vivo "Siam tre piccoli porcellin", pubblicata l'anno successivo dagli Afterhours. La raccolta consisteva in un primo cd 'elettrico', con quindici registrazioni effettuate in otto concerti differenti, una traccia in studio inedita ("la Sinfonia dei Topi") e un cd 'acustico' con quindici tracce registrate il 31 marzo del 2000 al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche.



(il doppio disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y6grw6px

Negli anni d’oro del rock italiano, quelli in cui molti dei protagonisti colmavano meritatamente la distanza che passa tra un birroso palco di provincia e un altrettanto birroso ma forse più trendy palco metropolitano, ci sono stati doverosi momenti di (auto) celebrazione e di omaggio sia a se stessi che ai sempre più numerosi, adoranti e intrippati fan.

Forse nella loro formazione migliore, sicuramente in quella più iconica e celebrata, gli Afterhours sono reduci – nel 2000 - da un buon periodo. La trilogia fino ad allora pubblicata li ha dotati di un repertorio completo ed emozionante e con “Hai Paura Del Buio?” han calato sul tavolo le loro carte migliori, mettendo in chiaro il gioco a cui vogliono giocare: ambizioso, magniloquente ma perfettamente nelle corde e nelle capacità di Agnelli e compari.

Il rapporto con il pubblico, inoltre, caratterizza molto la band: Manuel scazza spesso e volentieri, gigioneggia e alimenta il suo ego, segnali precoci del personaggio che poi sarà. Ma di questo dopo: per il momento ecco l’uscita di un disco live, che appare un giusto e adeguato memento del periodo.

Disco addirittura doppio: una prima facciata dedicata ai live canonici ed elettrici ( raccolti da diverse date e da diversi tour) ed un secondo tempo invece che propone un intenso set completamente acustico e teatrale.

Chi scrive purtroppo fa parte di chi ha conosciuto gli Afterhours solo in tempi successivi al triennio 98-2000: ma la sensazione è che la parte live ed elettrica, per chi ha vissuto quei tour e quegli anni, sia una sincera goduria, una madeleine emotiva da orgasmo.
Dalla granicità di “Germi”, “Dea”, “Adrenalina” e “Male di Miele” (ma chi aveva mai scritto, in italiano, dello stoner così?) ai climax melodici e dilatati di “Simbiosi” e “Dentro Marilyn”, fino al pop-rock emozionante di “Ossigeno” e “Cose semplici e banali”: si parlava prima di repertorio completo e qui lo si conferma in pieno, dando concreta prova di eclettismo e talento. Le esecuzioni sono vive, tecnicamente con i pregi e difetti noti, ma con il fuoco dentro e sincere.
Il cuore del pubblico si percepisce, così come è chiaro lo scambio di sudore tra platea e palco.

La paracula, situazionista e (tutto sommato) divertente interruzione fornita dall’unico inedito incluso (“La sinfonia dei topi”) ci porta alla seconda parte dell’opera, ovverosia al live acustico.

Partiamo dal fondo, ovverosia da “Voglio Una Pelle Splendida”: la serata si chiude con questo brano ed è difficile non emozionarsi davvero molto nell’ascolto. L’indie-rock italiano ha un inno, ha un centro di gravità permanente. O, quantomeno, lo hanno gli Afterhours e il loro pubblico, che canta con la band in una simbiosi rara e centrata: quando si parla di celebrazioni e di punti fermi, insomma, questo è quello che si intende. Tutto il live acustico è vissuto come una unica tessitura di amorosi sensi: l’apertura vibrante di “Strategie” fa bene intendere che non si abbasserà di un grado la temperatura, amplificatori o meno.
Anche per questo episodio il track-to-track è quasi superfluo, tutti i brani sono a fuoco (spicca ovviamente “Pelle”, che ha la centralità che merita, e anche qui è “Dentro Marilyn” a accendere il climax sensuale ed emozionale).
Già detto del finale e citato il tributo a Springsteen di “State Trooper” (con le solite perplessità – personali – della resa di Manuel in lingua inglese), cosa altro aggiungere?

Forse, ecco, una considerazione complessiva sul senso di un disco come questo: un live è spesso un terreno scivoloso, a volte un atto dovuto a cui si è costretti per onorare contratti discografici o per togliere il fondo da un barile che si è svuotato.
Non è questo il caso, non lo è davvero ed è una oggettività non da fan: il disco ha un senso assoluto, per il valore dei pezzi, per il trasporto nelle esecuzioni, per la voce del pubblico. E’ un disco da compagine matura e affermata, certo, che si vuole bene e ha alta stima di sé, senza dubbio. Celebrativo del passaggio dimensionale, dai 50 fan del bar ai 2000 del palco di corso XXII Marzo, ma non autoindulgente. C’è già in essere , se si vuole, quel tentativo - discutibile, discusso, non completamente riuscito - che Agnelli percorre da questo momento in poi, con ossessione costante e risultati vari, di portare l’indie italiano ad una dimensione globale, matura e in grado di sostenere il carrozzone: seguiranno, infatti, festival autoprodotti, dischi collettivi, Sanremo e altro.
Ma questo è un tema a margine: resta di certo, dopo l’ascolto di questo disco, la sbornia dell’abbraccio finale, del pensiero superficiale che finalmente trova la celebrazione che merita. La sensazione di un qui ed adesso praticamente perfetto e di un futuro dalle cui notti nero cristallo si hanno tutte le carte per uscirne vivi. A questo inganno, se inganno è, vogliamo credere.

- il Compagno Folagra

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