giovedì 17 settembre 2020

Cocteau Twins: "Heaven or Las Vegas" (1990)

Usciva trent'anni fa oggi "Heaven or Las Vegas", sesto album degli scozzesi Cocteau Twins e ulteriore meraviglia del gruppo guidato da Elisabeth Fraser.



(il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/y63jt6oh)

Quando esce "Heaven or Las Vegas", i Cocteau Twins sono ormai un gruppo di culto della musica britannica. Il trio scozzese, formato dalla cantante Elizabeth Fraser e dai musicisti Simon Raymond e Robin Guthrie, è celebrato per avere creato e innovato il dream pop, sorta di rock etereo che mescola synth pop e chitarre psichedeliche alla Byrds, con le acrobazie vocali di Fraser, degne di Laurie Anderson e Kate Bush, e un tocco di romanticismo ottocentesco da brughiera del nord.

Dopo avere sviscerato questa formula fino alla perfezione formale di "Victorialand" (1986), i Cocteau Twins cercano di ampliare la propria tavolozza sonora con "Blue Bell Knoll" (1988), al quale segue questo bellissimo "Heaven or Las Vegas" (1990).

Non è che l'album cambi molto le coordinate entro le quali il trio si muove: eppure, le liriche di Elizabeth, un tempo gorgheggi e melismi che intessevano parole affiancate senza un senso compiuto, sono diventate quasi intellegibili; e i brani, come già in "Blue Bell Knoll", sono sempre più strutturati come canzoni tradizionali e meno come affreschi sfocati - anche se talvolta questa semplificazione non funziona, come in "Wolf in the Brest", che spreca una strofa immensa in un ritornello banale.

Il disco si caratterizza per un suono più sanguigno, tra chitarre più aggressive e ritmiche più in primo piano ("Fotzepolitic"), talvolta con suoni tipici di un synth pop anni ottanta quasi datato (le sublimi "Iceblink Luck" e "Heaven or Las Vegas"), talvolta già più moderni e proiettati negli anni novanta ("I wear your ring","Pitch the baby", ma il trio farà meglio in questo stile nei dischi successivi).

Questi piccoli cambiamenti si affiancano a un generale senso di oppressione e sofferenza che riflette le difficoltà umane sperimentate dai tre musicisti.

Elizabeth e Robin aspettano infatti la loro prima figlia, ma questa gravidanza non è serena: Robin è ormai un cocainomane incallito e la gravidanza è un modo in cui Elizabeth spera di riportarlo alla ragionevolezza. Ma fra lo sconforto di Fraser e Raymonde, Guthrie non solo continua a drogarsi ma sviluppa anche una profonda paranoia ed è soggetto a continui sbalzi di umore.

Allo stesso tempo, le registrazioni del disco sono segnate dalla morte improvvisa di Ivor Raymonde, padre di Simon. Il bassista, appena 27enne, scrive per lui il pezzo finale del disco, il capolavoro "Frou-Frou Foxes in Midsummer Fires", che sa mostrare il gruppo al meglio nella sua nuova veste lirica e musicale, padrone del proprio passato e proiettato verso un futuro ancora capace di regalarci emozioni, fra strofa di posato dream pop ed epico ritornello commovente, struggente e intenso, dominato dalle sovrapposizioni vocali di Elizabeth.

La sincerità del dolore e la profondità delle canzoni trasfigura così un album che avrebbe potuto essere una stanca ripetizione di stilemi già usati in un gioiello, una di quelle gemme luminose e bellissime, sulla quale grava una storia di lutti e una misteriosa maledizione.

- Prog Fox

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