lunedì 14 settembre 2020

CCCP: "Epica Etica Etnica Pathos" (1990)

Il 13 settembre di trent'anni fa veniva pubblicato "Epica Etica Etnica Pathos", quarto e ultimo album dei CCCP Fedeli alla linea, inciso tra aprile e giugno dello stesso anno con una formazione allargata che oltre al nucleo consolidato includeva transfughi dei Litfiba e numerosi ospiti. Il disco era diviso in quattro sezioni (chiamate appunto come da titolo dell'album), e rappresenta una evoluzione fondamentale verso il suono aperto e la scrittura collettiva del progetto che erediterà missione e componenti del gruppo: il Consorzio Suonatori Indipendenti.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y6j34feb)

Il nome CCCP (che in russo è pronunciato SSSR, e sta per Unione Sovietica) venne scelto da Ferretti e Zamboni, soci di maggioranza del brand fin dalla sua fondazione, non per aderenza all’ideologia politica comunista, ma per indicare l’estraneità, l’alterità del gruppo nel contesto dell’Occidente “capitalista”. “Se fossimo nati al di là del Muro, ci saremmo probabilmente chiamati USA” disse a suo tempo Ferretti. Cosa succede quindi alla band se quella sigla, CCCP, smette di esistere nel mondo reale? Se crolla il muro, e ci si ritrova in un mondo in cui non ci sono più confini “apparenti”?

Innanzitutto, succede che si va a fare un tour nell’ormai ex Unione, accompagnati da altre band italiane su cui spiccano i Litfiba, IL solo altro gruppo che può competere coi CCCP per il titolo di miglior act del rock alternativo italiano degli anni ’80; succede che alle forze centrifughe degli ex-territori comunisti si sovrappongono quelle nella band fiorentina, che risulterà nell’esilio volontario della sua parte più art/alt-rock: il bassista Gianni Maroccolo, il tastierista Francesco Magnelli, il batterista Ringo de Palma (la cui vita finirà tragicamente poco dopo la fine delle registrazioni di questo album), accompagnati dal tecnico del suono e chitarrista Giorgio Canali. Queste forze fresche si innesteranno nei CCCP, a dar vita una delle formazioni chiave degli anni ’90 italiani, che si chiamerà CSI ma userà il vecchio nome alla sua prima apparizione, che è poi quella di cui parliamo qui.

Il lungo preambolo forse non era necessario, ma permette di spiegare per bene perché “Epica Etica Etnica Pathos” è un disco così importante e così bello. La presenza di Maroccolo e Canali come fonici/produttori, l’utilizzo di tecniche di registrazioni analogiche e praticamente in presa diretta (“tutto lo sporco degli anni ’90 con la tecnologia degli anni ’70”, recita il foglietto illustrativo del disco) e un songwriting in larga parte corale contribuiscono ad erigere un disco monumentale, lucidamente folle ed umorale, un tour de force di suoni disturbati e testi ora caustici ora profondamente malinconici, di stili e generi che, più che mescolati, vengono fatti collidere violentemente fino a che non restano incastrati l’uno nell’altro. Questo è vero tanto per l’album nel suo insieme quanto per i suoi brani più lunghi: “Aghia Sophia”, “Narko$ (contiene Baby Blue)” e “Maciste Contro Tutti” sono marce forzate da circa dieci minuti ciascuna, riflessioni sullo stato del Paese e del mondo, di cui è difficile parlare e a cui è persino difficile credere se non le si ascolta e ri-ascolta un congruo numero di volte. Le canzoni propriamente dette sono, a loro volta, pezzi straordinari: “Campestre”, “Depressione Caspica”, “Amandoti”, “L’Andazzo Generale”, “Mozzill’o Re” e “Annarella” sono tutti esempi di scrittura e produzione impeccabile; “Paxo de Jerusalem” e “Al Ayam” sono concessioni “world music” che no, non c’entrano nulla col resto dell’album, ma il resto dell’album non c’entra nulla con se stesso a livello stilistico, e va benone così.

“Epica Etica Etnica Pathos” è un capolavoro di atmosfera, di umori furiosamente uggiosi, un album che distilla lo zeitgeist della sua epoca, la ricerca di un senso nei quattro punti cardinali delle quattro parole del titolo per ritrovarsi costantemente spaesato, solo, in un mondo che pare arrivato alla fine della Storia. E se sappiamo che questa della post-storia era solo l’ennesima cazzata inventata da accademici con troppo inchiostro a disposizione, la sensazione di trovarsi in un mondo enorme, complicato e contraddittorio (come questo disco aggiungeremo) è un tema universale di cui “EEEP” è l’epitome perfetta.

- Spartaco Ughi

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