giovedì 20 agosto 2020

Queensryche: "Empire" (1990)

Il 20 agosto di trent'anni fa veniva pubblicato "Empire", quarto album dei pionieri del prog metal americano Queensrÿche. Considerato uno dei migliori dischi del gruppo, nemmeno i critici più feroci della band e del suo stile hanno potuto negare la potenza di brani come "Silent Lucidity" e "Best I can".



(la versione estesa si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y5pvozbu)



20 agosto 1990 – 20 agosto 2020: compie trent’anni "Empire", quarto album da studio (o quinto, se contiamo anche l’omonimo, non meno importante, elle-pi d’esordio) degli americani Queensrÿche.

L’album in questione, diciamolo subito, fu uno dei prodotti più controversi dell’epoca. I motivi? Una deviazione nel genere stilistico della band. Un album non all’altezza del precedente capolavoro "Operation: Mindcrime". Prima dei Metallica e prima di altri illustri colleghi, i Queensrÿche furono i primi a venire accusati da parte dello zoccolo duro del pubblico metal di essersi svenduti al music business.

Sulla seconda obiezione, non c’è molto da ridire. Sul fatto di essersi svenduti, beh, le accuse cadono nel vuoto dinnanzi alla qualità, al gusto e alla classe compositiva di questo nuovo disco firmato dal quintetto di Seattle. La sua colpa, se di colpa si può parlare, è quella di sfuggire a una omologazione di genere. Un album di hard rock raffinato dalle tinte progressive, oppure un disco prog (non che siano veramente mai stati prog i ‘Rÿche, in senso lato del termine) dalla forte indole hard rock e AOR? Ci avvaliamo della facoltà di non rispondere a tale quesito, e ci limitiamo di asserire che "Empire" è un ottimo album, certamente più easy listening dei precedenti, e certamente debitore della formula affabile già testata e collaudata di un genere che ha contraddistinto l’intero decennio antecedente.

Undici pezzi di qualità altissima in cui spiccano alcuni capolavori assoluti, fra i migliori pezzi che possiamo trovare sfogliando il repertorio dei Queensrÿche. Fra tutte, brilla la superballad "Silent Lucidity", pezzo composto in collaborazione con Michael Kamen per l’arrangiamento orchestrale, una hit degna delle migliori composizioni di Gilmour, Waters e soci. Potremmo soffermarci sulle linee melodiche della canzone, o sulla magistrale interpretazione di Geoff Tate, uno dei migliori cantanti in assoluto di quel periodo, uno che con l’eleganza del tibro e il range vocale della sua voce poteva fare tranquillamente ogni cosa possibile e immaginabile, ma è superfluo: per l’intera durata dell’album, sia Tate che il chitarrista Chris DeGarmo offrono prestazioni di livello assolutamente superlativo.

Rispetto ai primi lavori "The Warning" e "Rage for Order", il gelo tagliente che avvolgeva le loro composizioni si è quasi completamente sciolto. Adesso l’umore compositivo è più positivo, più affabile, più accattivante. Lo testimoniano composizioni quali "Another Rainy Day (Without You)", la superba title-track (il lavoro del producer Peter Collins è superlativo, quanto di più magistrale e avanguardistico si potesse chiedere all’epoca, raggiunge vette siderali), la catchy superhit "Jet City Woman" (dedicata alla moglie, all’epoca hostess sempre in volo da un capo dall’altro del paese), "Resistance" e la doppietta iniziale formata da "Best I Can" e "The Thin Line".

"Della Brown" è il pezzo più malinconico e “settantiano” del lotto, dove le influenze prog, soul e blues risultano maggiormente marcate a dispetto degli altri brani. Anche i due pezzi 'minori' "Hand on Heart" e "One and Only" risultano gradevoli e lontani dal poter venire considerati semplici riempitivi.

Chiude "Anybody Listening?", altro lentone dal forte coinvolgimento emotivo, dall’incedere squisitamente progressive. Il pezzo fu lanciato anche come sesto e ultimo singolo di Empire, un anno e mezzo dopo la sua uscita.

Ah, dimenticavamo, l’album vendette solo in Nord America oltre tre milioni di copie, piazzando "Silent Lucidity" in vetta alle charts dell’epoca. Un successo ampiamente meritato di un album che giudicato in modo obiettivo con cognizione di genere, non può non essere considerato fra i lavori più importanti dell’epoca.

- Supergiovane

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