sabato 29 agosto 2020

Jethro Tull: "A" (1980)

Usciva il 29 agosto di quarant'anni fa "A", tredicesimo album in studio dei prog rocker britannici Jethro Tull. Album di transizione, in parte forzata, con la casa discografica che spinge il padre-padrone Ian Anderson a rivoluzionare la formazione invece di tentare un album solista.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y2zvenuq)

Nel 1980, i Jethro Tull e il loro leader Ian Anderson sono vittime di una certa stanchezza. Nel 1979 hanno perso il bassista John Glascock a causa di una malattia cardiaca, e il successo commerciale è in lenta ma costante erosione da anni a causa delle nuove forme musicali, punk, new wave, synth pop, heavy metal.

Per il momento quindi Anderson decide di mettere da parte i Jethro Tull e provare la carriera solista. Cosa succeda poi non è ben chiaro: la casa discografica spinge perché anche il nuovo disco venga pubblicato a nome Jethro Tull, per cui il batterista Barrie Barlow e i due tastieristi John Evan e David Palmer vengono cacciati dalla formazione. Rimangono con Anderson solo il fedele chitarrista Martin Barre, col gruppo dal '69, e il nuovo bassista Dave Pegg, giunto l'anno precedente dopo lo scioglimento dei Fairport Convention. Ad affiancarli, il batterista americano Mark Craney e il tastierista-violinista prog virtuoso Eddie Jobson, ex-Roxy Music, ex-Curved Air ed ex-UK.

Anderson vuole provare nuovi arrangiamenti, sebbene il suo stile compositivo rimanga in buona sostanza quello degli ultimi anni: brani melodicamente e armonicamente folk e rock, con influenze classiche e romantiche; ma questa volta le chitarre acustiche e gli strumenti tradizionali spariscono, sostituiti da violino elettrico e sintetizzatore (e, bizzarramente, dal mandolino, in un certo senso l'unica concessione a Dave Pegg e ai fan). C'è quindi di base un suono progressive che sposa vecchio e nuovo sull'altare dei moderni synth, senza rischiare di compromettere del tutto un insieme consolidato.

Sul lato A la scommessa funziona, grazie a un nucleo di buone se non ottime canzoni come "Crossfire", dalle influenze jazz sulle quali si dipana uno stupendo assolo di chitarra di Barre; "Fylingdale Flyer", la più riuscita sintesi tra sintetizzatori e suono Jethro Tull, compresi cori alla "Songs fromt the Wood"; il synth folk "Working John, Working Joe"; e soprattutto la maestosa "Black Sunday", un epos da sette minuti in cui Jobson dimostra tutta la propria maestria al pianoforte, con il gruppo in stato di grazia nel supportarlo.

Il lato B si apre alla grande con un altro piccolo classico, "Protect and Survive", caratterizzato da struttura irregolare e tempi dispari, condotto magistralmente dalla batteria di Craney.

È qui che, purtroppo, le cose si fanno dolenti: i pezzi successivi non sono all'altezza della prima metà del disco. "Batteries not included" è una malriuscita denuncia dell'alienazione robotica che colpisce anche i bambini; "4 WD" uno dei pezzi umoristici meno riusciti della carriera di Anderson; "Uniform" il brano sbagliato per mettere in mostra il violino elettrico di Jobson - a fronte di una ottima sezione strumentale, strofa e ritornello languono; "The Pine Marten's Jig" è uno strumentale folk prog abbastanza nella norma; e infine "And further on" un brano finale malinconico folk-sintetizzato piuttosto trascurabile.

Cosa funziona e cosa non funziona, quindi, su "A"? Il gruppo, per esempio, funziona: i musicisti e le loro qualità non si discutono. Jobson e Anderson, però, che dovrebbero essere al centro del progetto, funzionano a metà.

Jobson si porta dietro pregi e difetti del suo ruolo negli UK, scegliendo troppo spesso suoni di sintetizzatori e tastiere aggressivi e invadenti.

Anderson, dal canto suo, dopo un decennio passato a scrivere materiale per un album all'anno, sembra essere un po' in difficoltà nel replicare la formula, incerto sull'arcione fra evoluzione e restaurazione. E soprattutto abusa del vocoder, un distorsore vocale usato veramente in modo discutibile.

Il risultato è un disco di transizione che ospita sia buone tracce che alcune delle tracce meno interessanti degli ultimi anni - non il miglior biglietto da visita per il nuovo decennio, anche se non mancano gli elementi di fiducia.

Questi elementi saranno per fortuna confermati in positivo nel successivo "The Broadsword and the Beast" - per quanto anch'esso non esente da problemi. Ne riparleremo nel 1982.

- Prog Fox

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