sabato 4 luglio 2020

Vapors: "New Clear Days" (1980)

Nel luglio di quarant'anni fa veniva pubblicato "New Clear Days", disco d'esordio dei Vapors, gruppo new wave britannico guidato dal cantante, chitarrista e compositore David Fenton. Si trattò sicuramente di una delle migliori uscite pop/new wave dell'anno, da parte di un gruppo che avrebbe meritato davvero miglior fortuna.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y9wngzm8)

La fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta videro un inasprimento della guerra fredda a causa di un profondo stato di tensione internazionale: la crisi degli ostaggi in Iran, l'invasione sovietica dell'Afghanistan, Reagan e la Thatcher e il loro anticomunismo, per non parlare dei nostri personali problemi con il peggio del terrorismo da Aldo Moro alla strage di Bologna, compresi i sospetti di una battaglia nei cieli italiani per la strage di Ustica.

In questo clima la paura di una guerra nucleare faceva capolino anche nei testi delle canzoni e nelle preoccupazioni dei gruppi impegnati (qualcuno ha detto "London Calling" dei Clash?). Tra gli artisti inglesi che affrontarono queste tematiche con il linguaggio appropriato e nervoso della new wave c'erano i Vapors, un quartetto fenomenale originario di Guildford, nel Surrey, che durò lo spazio ristretto di una breve stagione: nati nel 1978, si sciolsero nel 1981 dopo avere pubblicato due soli album e almeno un singolo che ha fatto scuola, "Turning Japanese".

Guidati dal compositore, cantante e chitarrista David Fenton, carismatica figura in parte profeta apocalittico, in parte poeta sarcastico e in parte paranoico nevrotico, i Vapors stabilizzarono la propria formazione con i non-imparentati Howard Smith (batteria) e Steve Smith (basso) e il chitarrista Edward Bazalgette. Scoperti da Bruce Foxton dei Jam, li accompagnarono in tour facendosi un nome sufficientemente buono da ottenere un contratto discografico.

Lo stile dei Vapors su "New Clear Days" è poco meno che esilarante: il talento melodico di Fenton è evidente, ogni canzone ti esplode in faccia con la frizzantezza del miglior power pop, però con testi che scavano nel disagio di una generazione e di un'era, evocativi e taglienti come un bisturi. Produzione e arrangiamenti vestono però le melodie di un appropriato senso di nevrosi e alienazione, grazie sia agli incroci di chitarre di Fenton e Bazalgette e all'energia e sottigliezza della sezione ritmica; occasionalmente, non come abitudine o convenzione ma come chiara scelta, sanno anche quando infilare armonie vocali, call-and-response o seconde voci.

Le gemme su questo disco si sprecano: abbiamo già menzionato "Turning Japanese", che fu l'unico successo del gruppo (#3 in UK, #1 in Australia), confusa storia di un disagio mentale di quello che oggi potremmo chiamare un hikikomori caratterizzata da brillanti armonie vocali, da un uso incredibile dei cambi di intensità alla batteria di Howard Smith e dagli incisi nipponeggianti di Bazalgette. Ma altrettanto valide sono "Cold War" (crescendo nevrotico, armonie vocali, variazioni continue nella sezione ritmica, una incredibile tavolozza di colori delle chitarre), "News at Ten" (liriche pregne di rassegnazione e dolce ironia, armonie vocali e call-and-response fra Fenton e Steve Smith, solo essenziale di Bazalgette), la romantica, struggente "Somehow" e "Waiting for the Weekend" (che anticipa certo brit pop di una dozzina d'anni), e comunque ogni brano ha qualcosa da offrire, che sia un improvviso squarcio melodico o un arrangiamento gustoso.

Quindi, se siete appassionati della new wave e del power pop di quegli anni, e di gruppi come Jam e Talking Heads, questo disco non può e non deve sfuggirvi.

- Prog Fox

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