mercoledì 1 luglio 2020

Traffic: "John Barleycorn must die" (1970)

Cinquant'anni fa oggi usciva anche "John Barleycorn must die", quarto album in studio del gruppo di rock eclettico, psichedelico e progressivo Traffic. L'album è, con il loro esordio "Mr Fantasy", il migliore della loro carriera. Oltre a presentare la loro personalissima versione del classico folk "John Barleycorn" che da il titolo all'album, ospita cinque dilatate jam al confine fra blue eyed soul, jam rock e progressive.



(il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/y84oxnx5)

Dopo lo scioglimento dei Traffic, avvenuto dopo l'incisione di due album ("Mr Fantasy", 1967; "Traffic", 1968) e la pubblicazione di un terzo disco di inediti, pezzi dal vivo e roba sparsa ("Last Exit", 1969), il cantante-organista Steve Winwood fonda i Blind Faith con il bassista dei Family Ric Grech e con due ex-Cream, ovvero Eric Clapton e il batterista Ginger Baker. I Blind Faith però durano poco, soprattutto per la poca convinzione di Clapton, e così Winwood si ritrova da solo senza un gruppo.

È così che decide di entrare in studio di registrazione nel 1970 per incidere il proprio primo album solista, che dovrebbe intitolarsi "Mad Shadows". L'idea però non lo stuzzica: le sue canzoni sono abbozzi interessanti, ma il luogo dove vuole portarle è quello delle escursioni strumentali che perseguiva anche dal vivo con le sue band precedenti. Chiamato il batterista Jim Capaldi, suo compare nei Traffic, per farsi dare una mano con la scrittura, in particolare dei testi, decide che c'è bisogno anche del polistrumentista Chris Wood, altro ex-Traffic, per poter far brillare i nuovi pezzi al meglio. A quel punto, riformare i Traffic è cosa fatta. Oltre alle tastiere, Winwood suona anche basso e chitarra elettrica, lasciando il resto degli strumenti che colorano l'album a Wood e Capaldi. Rimane fuori dalla reunion il chitarrista Dave Mason, con cui gli altri tre avevano litigato e da cui si erano già separati due volte in passato.

"John Barleycorn must die" è costituito da sei brani: cinque sono pezzi di jam rock eclettico, musicalmente spruzzati di influenze jazz (il sax e il flauto di Chris Wood) e che espandono il linguaggio progressive già costruito dal gruppo negli anni precedenti spogliandolo della psichedelia e degli aspetti più acidi in favore di melodie e improvvisazioni maggiormente controllate e a fuoco. Questi cinque pezzi sono tutti caratterizzati da una atmosfera molto simile e danno un senso di radicamento e coerenza molto forte a tutto il disco. "Glad" lo apre come una sorta di overture strumentale che ci introduce alle tematiche musicali dell'album. "Freedom Rider" vede protagonista la voce blue eyed soul di Winwood, mentre "Empty Pages" vede Chris Wood all'organo e Steve Winwood al piano elettrico. "Stranger to Himself" e la conclusiva "Every mother's son" risalgono alla prima fase delle registrazioni: nella prima Capaldi si limita a firmare il testo e a comparire alle armonie vocali, con Winwood che suona tutto il resto, e anche se il batterista suona (splendidamente, peraltro) sul secondo, Wood è assente in entrambi i pezzi.

A eccezione di "Stranger to Himself", che dimostra quanto Winwood avesse bisogno dei suoi compari (Winwood è un batterista non all'altezza e la composizione, non a caso la più breve del disco, è anche la meno interessante, nonostante un buon solo di chitarra di Winwood), gli altri quattro brani vanno inclusi fra le migliori cose della carriera dei Traffic.

A completare il disco però è il brano più noto e anche più diverso dagli altri, quello che gli da il titolo: "John Barleycorn", un classico del repertorio folk inglese, suonato in uno stile che ricorda quello dei Jethro Tull (che a loro volta erano stati influenzati dai Traffic a inizio carriera). Winwood e Capaldi duettano alla voce su un tappeto di dolcissima chitarra acustica tessuto da Winwood stesso, mentre Wood illumina il tutto con interventi magistrali di flauto, triangolo e altri ammennicoli, a cui si aggiunge il tamburello di Capaldi.

La "John Barleycorn" dei Traffic diviene la versione definitiva di questa ballata popolare, impossibile da battere da chiunque, e fornisce quel tocco di varietà e riflessività che si esalta nel contrasto con il sanguigno soul jazz rock delle altre canzoni, sublimando così un album capolavoro.

- Prog Fox

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