venerdì 24 luglio 2020

Pantera: "Cowboys from Hell" (1990)

Il 24 luglio di trent'anni fa vedeva la luce "Cowboys from Hell", quinto album in studio dei Pantera, ma primo album propriamente thrash metal dei texani più famosi della scena - e loro primo disco per una major discografica, col quale sfondarono anche a livello di vendite. Ovviamente, stiamo parlando dei Pantera.



(l'album completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/y2tv74kj)

L’ANTEFATTO: le origini. Il gruppo nasce a inizio anni 80 per volontà dei fratelli Abbott, meglio conosciuti come Dimebag Darrell e Vinnie Paul. Il gruppo all’inizio proponeva un heavy/glam rozzo tutt’altro che memorabile, in cui risaltavano esclusivamente le capacità di Dimebag alle sei corde, chitarrista cresciuto sulle note di gruppi quali Kiss e ZZ Top.

Con il passare del tempo, il gruppo raccolse per strada il bassista Rex Brown, e successivamente, nell’86, dopo tre album pubblicati, il cantante Phil Anselmo. Questa resterà la lineup fissa con cui il quartetto texano proseguirà e concluderà la propria carriera.

PROLOGO: la transizione. Forti di un cantante estremamente talentuoso, appassionato sia di heavy metal alla Judas Priest, sia del thrash di Megadeth e Metallica, sia di punk/hardcore alla Black Flag o Exploited, il gruppo virerà su sonorità più dure e massicce, incidendo "Power Metal", ennesimo album autoprodotto, qualitivamente così così, che però presentava una band più cazzuta, talentuosa e consapevole dei propri mezzi.

PRIMO ATTO: la trasformazione. Dall’ultimo album da studio, la band si prende tre anni per produrre del nuovo materiale, ma l’attesa (beh, non che ci fossero frotte di fan con la bava alla bocca nella spasmodica attesa che uscisse un loro nuovo lavoro, all’epoca…) viene ben ripagata. Anzi, di più.

I Pantera di "Cowboys from Hell" sono un gruppo totalmente nuovo, che propone un thrash metal moderno e accattivante privo di qualsiasi sfumatura glammettona, il livello tecnico e compositivo ora è di tutt’altro pianeta. Siamo su sonorità derivate dal thrash metal ottantiano, dallo speed metal e dal metal classico alla Judas Priest, con una massiccia dose di energia in più. Una ventata d’aria fresca per la scena.

Il salto definitivo lo compieranno due anni dopo modellando nuovamente le proprie sonorità con "Vulgar Display of Power", album con cui vennero coniati i termini Post Thrash e Groove Metal. Ci fu anche una controversia sulla paternità biologica di tale genere con i colleghi Exhorder, che avrebbero debuttato poco dopo "Cowboys from Hell", autori di due album ("Slaughter in the Vatican" e "The Law") molto importanti (e altrettanto sottovalutati) per l’evoluzione del genere.

Vabbè, comunque sia, è sufficiente premere il tasto play e ascoltarsi la celebre title track posta in apertura, per appurare che i Pantera avevano già le idee chiare riguardo la direzione verso cui rivolgersi: l’introduzione spetta a un riff effettato (la combo della pedaliera abbinata alla sua Razorback sarà uno dei marchi di fabbrica di Dimebag Darrell) che sfocia in una distorsione carica di groove condotta da riff stoppati dal sapore settantiano (Led Zeppelin e Black Sabbath riecheggiano spesso nelle loro composizioni) inframezzati da break e cambi tempo, ben condotti dalla non difficoltosa ma fantasiosa performance dietro le pelli di Vinnie Paul, e tanta sana propensione southern rock improntata nel gusto solista di Darrell. Benvenuti nel metal del nuovo millennio.

La poderosa, veloce, magistrale "Domination" (il riff del break finale è stato poi citato e ripreso anche dai Dream Theater in "The Mirror", oltre che da tanti altri gruppi) e l’epica "Cemetery Gates", racchiudono assieme alla title track il meglio dell’album, tre pezzi leggendari ricordati come i migliori episodi firmati dai quattro thrasher texani.

"Cemetery Gates", in particolare, rappresenta una delle loro poche mid-power-ballad, strutturata sulla falsariga di "One", "Welcome Home" e "Fade to Black" dei Metallica: inizio arpeggiato abbinato a linee vocali melodiche, che poi sfocia in un roccioso up-tempo. Anselmo aveva un’impostazione vocale meno aggressiva all’epoca, ed era maggiormente giocata sull’interpretazione e sugli acuti (non eravamo al livello di Rob Halford come range vocale, ma quasi), e qui sfodera una delle sue prestazioni più memorabili. Come memorabili sono pure gli assoli di Darrell, considerati a ragione fra i migliori mai prodotti in ambito metal. La sua chitarra e l’ugola di Anselmo si rincorrono nella parte finale del pezzo, giocando a chi dei due raggiunge le vette più acute.

Le qualità compositive dei Pantera si confermano tali per tutto l’arco del resto dell’album, in particolare sul mid-tempo "Psicho Holiday", canzone in cui spicca il talento del gruppo nel saper scrivere pezzi aggressivi in cui le linee vocali catchy e accattivanti ne diventano il fiore all’occhiello.

Più improntate verso lo speed metal troviamo "Heresy" (altro pezzo molto amato dai fan) e "Primal Concrete Sledge".

La seconda parte dell’album è decisamente meno valida della prima, ma si segnalano comunque in positivo "The Sleep" (outsider dell’album, pezzo cadenzato e ammaliante, un caso a parte nella discografia del gruppo) e l’ottima "Medicine Man", impreziosita da un lavoro chitarristico ritmico e soprattutto solista di un Dimebag in grande spolvero.

Questo è "Cowboys from Hell", primo album della nuova vita del gruppo, che ha fatto tabula rasa dei propri precedenti lavori (che da qui in poi verranno completamente ignorati anche dal vivo), ripartendo con un disco che ha segnato un’epoca, e dato inizio a una nuova era.

- Supergiovane

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