domenica 19 luglio 2020

Mother Love Bone: "Apple" (1990)

Il 19 luglio di trent'anni fa veniva pubblicato "Apple", unico full length in studio dei Mother Love Bone, gruppo alla confluenza fra grunge e glam metal protagonista dei primissimi anni della scena di Seattle, grazie soprattutto alla strabordante personalità del cantante Andrew Wood, deceduto quattro mesi prima, il 19 marzo, in conseguenza di una overdose.



(l'album completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/y4gehkjm)

Il 19 marzo del 1990, Andrew Wood si spegne in un ospedale di Seattle, ucciso dalle conseguenze di una overdose di eroina, a soli 24 anni.

È la fine prematura di un uomo destinato a diventare una stella del firmamento rock. Cantante prodigioso, sfrontato e perfettamente padrone di una voce davvero unica, parte Robert Plant, parte Axl Rose, parte polvere di stelle come è solo chi ha un dono particolare, un modo particolare di suonare le proprie corde vocali, Andrew Wood è forse la prima vittima della maledizione del grunge, della maledizione della Seattle alternativa, la prima vittima degli anni Novanta.

Diventa difficile ragionare sul lascito di Wood al rock'n'roll, un album e un EP con i Mother Love Bone, una ventina di canzoni scarse. Tanto l'EP dell'anno precedente quanto questo "Apple", che dopo qualche tentennamento fu pubblicato postumo quattro mesi dopo la sua morte, il 19 luglio, sono dischi strepitosi, pieni di canzoni da manuale. Nulla che avrebbe sancito la rivoluzione, ma certamente nel campo del rock duro i Mother Love Bone sembrano l'unico gruppo che possa fondere insieme in modo naturale l'anima glam/street degli anni Ottanta, che sarebbe stata presto sublimata sul doppio "Use your Illusion" dai Guns'n'Roses, sia quella grunge che stava emergendo da Seattle - certo non è un caso che Jeff Ament e Stone Gossard andranno a fondare i Pearl Jam dopo essersi ripresi dal trauma della morte del loro amico e collega.

Venendo più in concreto alla musica di "Apple", il territorio percorso non è molto diverso da quello dell'EP "Shine" dell'anno precedente. Come detto, la musica di base è hard rock, i riferimenti culturali sono Led Zeppelin e Guns'n'Roses, anche se il quintetto (che oltre a Wood, Ament al basso e Gossard alla chitarra, vede Greg Gilmore alla batteria e Bruce Fairweather alla chitarra) mostra competenze e fantasia che vanno oltre questo ristretto sistema di coordinate.

Queste varietà si estrinsecano soprattutto nei pezzi meno derivativi, l'incalzante "Come bite the Apple", la ballata "Stargazer", "Capricorn Sister", "Mr. Danny Boy" che sanno come far alzare le sopracciglia all'ascoltatore; ma anche i più corrivi, come "This is Shangrila" o "Captain Hi Top", sono comunque ispirati, con il suono sempre in equilibrio al punto giusto tra leccato e sporco. Le composizioni assai solide conferiscono volume a un album che è molto coerente nelle sue sonorità, quasi monotono, persino nei momenti in cui emerge l'anima più malinconica e sofferente, forse la più sincera, di Wood e soci, magari accompagnata dal pianoforte ("Man of Golden Words", "Gentle Groove") o da una chitarra acustica ("Stardog Champion", "Bone China"). Il disco si chiude con una versione accorciata di "Crown of Thorns", il capolavoro che illuminava l'EP "Shine".

"Apple" rimane il testamento artistico di un grande cantante. Non sarà che il primo dei troppi testamenti di quest'epoca; e, a causa della statura del 'ragazzo perduto' e dei suoi compagni di viaggio, uno dei più significativi.

- Prog Fox

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