venerdì 10 luglio 2020

Coldplay: "Parachutes" (2000)

Il 10 luglio 2000 esce "Parachutes", primo album dei Coldplay. Ancora acerbo, nel bene e nel male...



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/yb487y9o)

Ero indeciso se iniziare queste scarne righe usando come incipit "take me back to the start" o "nobody said it was easy"; la scelta tra le due frasi mi arrovellava mentre riflettevo su che taglio dare ad un commento dedicato al ventennale dell'esordio dei Coldplay, "Parachutes". Si, certo, so bene che sono frasi prese da "The Scientist", brano contenuto in disco successivo a questo, ma a mio modo di vedere calzavano e potevano inquadrare il tema ed il mal di pancia.
Ma sì: torniamo all'inizio di tutto, contestualizziamo e, malgrado siano solo canzonette, riconosciamo però come non sia certo facile raccontare in modo equo ed obbiettivo di questo disco.
Il mix è vario. Le proprie opinioni che si inizia a non condividere più, l'auto-concessione di qualche "guilty pleasures" da brivido pop uniti all'irritazione nell'ascoltare frasi e sequenze che il proprio super-io morale ed estetico riconosce per quello che sono: frammenti di emozione plastificata, pronta e pensata per essere vergata da adolescenti o post-adolescenti (o eterni adolescenti) sul proprio diario (o sulla propria ventiquattrore, tempus fugit)

Eppure. Tralasciamo "Yellow", per carità: troppe volte sentita, troppo polarizzante ormai nei giudizi per poterne parlare senza pensare a palloncini, cuoricini, braccialetti illuminati, smartphone che si accendono.
Troppo costruita nella sua spontaneità meccanica e - con il senno di poi - annunciata.
Proviamo però a muoverci tra le tracce di questo disco senza pensare al dopo, ma restando nella bolla temporale del 2000, di quell' "ora e adesso".
Guardiamoci allo specchio: "Spies", "Don't panic", "Shriver", "Trouble" si possono definire canzoni brutte? Completamente inascoltabili? Forse oggi (ma ripeto: conoscendo il dopo, conoscendo il poltergeist di caramello che ha sommerso i nostri), forse oggi uno si ritrova a dire: "basta Coldplay" e a rigettare l'ascolto.
Signori della corte, è vero che la melassa si intravedeva già ed era chiaro il contesto dell'operazione, che il solco era tracciato: tuttavia un primo giro sulla giostra di Chris Martin e compari, anche solo per scendere subito, era più che lecito farlo.
L'errore era forse di chi saliva sulla giostra prendendo il biglietto per uno spettacolo sbagliato (rinascita del rock? rivoluzione pop? cantando "guarda come splendono le stelle per te"? davvero?), non di chi sapeva esattamente la durata e la qualità della corsa pagata.

Interessante è valutare come suonino oggi queste canzoni, cosa abbia fatto loro il tempo.
E, ancora una volta, è difficile esprimere una valutazione neutra che non prenda in considerazione il dopo "Parachutes" e quello che i "Coldplay" sono diventati: un marchio, una tinta emotiva unica, una ditta dedicata alla produzione massificata di cori da stadio. Premesso questo, le canzoni non suonano complessivamente come invecchiate (troppo) male: si riesce a scorgere nel momenti più felici una sincera vena compositiva, certo più furba che originale, ma gradevole e ancora accettabile. "Guilty pleasures" è stato già detto, vero?

Insomma, siamo ancora prima dell'arrivo dello tsunami commerciale che tutto rivelerà e non siamo neppure così ingenui da non capire che in queste acque, che sembrano calme e tranquille, non ci sia già in nuce la tempesta ventura.
Tuttavia ci concediamo qualche istante e ci prendiamo - se ci va - quello che c'è di meglio da queste onde: qui, adesso, fermi all'inizio delle cose.
Guardando anche come splendono le stelle, dai, tanto troppo male non fa e qualche piccola emozione la si rimedia.

- il Compagno Folagra

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