venerdì 5 giugno 2020

Procol Harum: "Home" (1970)

Il 5 giugno di cinquant'anni fa esce "Home", quarto album dei britannici Procol Harum: una lugubre, angosciata sinfonia progressive dedicata alla morte, che disegna in molte variazioni tematiche, ma con gli stessi colori cupi, le diverse forme in cui la fine si manifesta.


Il disco completo si trova qui --> https://tinyurl.com/yasoggbn


Al termine del terzo album, l'abbandono del tastierista Matthew Fisher e del bassista David Knights fanno sì che vengano lasciati indietro sia la psichedelia che il surrealismo degli anni sessanta. I Procol Harum rimasti, ovvero il cantante-pianista Gary Brooker, il chitarrista Robin Trower e il batterista Barrie J Wilson, con il loro librettista Keith Reid, reclutano il bassista/organista Chris Copping e scelgono di dedicarsi a una scrittura più scarna e vigorosa, influenzata dal coevo maturare della scena progressive che i Procol Harum stessi avevano contribuito a creare.

Il muoversi nella direzione di un rock più duro, come dimostrato da brani come il trascinante "Whiskey Train", sospinto da una chitarra selvaggia e sporca e dalla ritmica incalzante di Wilson, avviene parallelamente allo spingersi delle liriche di Reid su temi sempre più neri, che riguardano quasi interamente la morte o il pericolo di morte in varie forme: "Whiskey Train" stessa, per esempio, parla della cavalcata verso l'autodistruzione di un alcolizzato; "Dead Man's Dream" racconta in prima persona l'ultimo sogno di un uomo che muore di malattia, accordi minori di pianoforte, un organo da chiesa desolato e un funereo crescendo che unisce grandiosità e orrore. L'unico pezzo in cui si sfugge a malinconia e dolore è "Still There'll Be More", che però non ha nulla di positivo od ottimistico, recando infatti il punto di vista di una sorta di spietato portatore di morte cosmico, che danza su un country blues rock incalzante con la leggiadria del serial killer.

L'hard blues elettrizzante di "About to Die", con il piano di Brooker in evidenza, non ha bisogno di alcun commento; la dolorosissima, dolcissima "Your own choice", posta in chiusura di disco, e la disperata, straziante "Nothing that I didn't know" parlano di suicidio; "Piggy Pig Pig" e "Whaling Stories" sono due raffigurazioni, la prima satirico-sarcastica, la seconda tragico-epica, dell'Apocalisse. In "Whaling Stories", l'apice assoluto del disco, tornano a fare capolino le storie marittime dei Procol Harum, che già erano state protagoniste del precedente album "A Salty Dog". Col suo andamento circolare e il tagliente assolo di Trower alla chitarra elettrica, la struttura, le sonorità e il tema narrativo della fine del mondo vista da una nave abbandonata nella tempesta suggestioneranno enormemente i Van der Graaf Generator di "Pawn Hearts" (il loro capolavoro del 1971).

Eppure, nonostante il tentativo di indurire i suoni e le tematiche possa suonare come un rischio per un gruppo noto per le proprie melodie tanto grandiose quanto accattivanti, il disco funziona alla grande: la pompa è perfettamente bilanciata da una musica adeguata e le immagini evocate da Reid sono oggettivamente spaventose, cantate con convinzione da quel pauroso cantante rock blues che è Brooker; mentre il batterista Wilson trova qui la propria realizzazione come musicista dal tocco originale e personalissimo, immediatamente riconoscibile.

"Home" risulta così a tutti gli effetti il secondo miglior disco della carriera del gruppo, secondo solo al loro debutto del 1967. "Home" è il disco di un gruppo che si colloca pienamente nel progressive maturo, un passaggio e una maturità sicuramente influenzati dall'epica a base di mellotron e chitarre schizoidi del capolavoro del genere "In the court of the crimson king" dei King Crimson, uscito l'anno precedente, e che negli stessi mesi oltre ai Procol Harum ispira Curved Air, Genesis, Gentle Giant, Yes, giusto per fare qualche nome.

A prescindere dalle influenze subite e causate, "Home" resta disco imperdibile per chi ami il progressive classico di quegli anni.

- Prog Fox

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