lunedì 29 giugno 2020

Peter Green: "The End of the Game" (1970)

Nel giugno di cinquant'anni fa, il chitarrista inglese Peter Green terminava di incidere il suo capolavoro, il suo primo disco solista "The End of the Game", disco di ardua fruibilità che però portava la chitarra elettrica in un viaggio lisergico rispetto al quale ci sono pochi eguali.



(disco completo con quattro tracce bonus qui --> https://tinyurl.com/ya2n7h8t)

Lasciati i Fleetwood Mac il 20 maggio del 1970, in preda a una profonda crisi personale e spirituale, Peter Green si rifugia nella dimensione che lo fa sentire meglio, quella della musica pura. Non vuole pensare a successo commerciale o esibizioni dal vivo, si rinchiude per alcune settimane in studio di registrazione e incide delle lunghissime jam con un piccolo gruppo di amici scelti dalla larga famiglia dei bluesmen britannici.

A queste jam informali partecipano infatti Alex Dmochowski, bassista del gruppo blues Aynsley Dunbar Retaliation, il pianista Zoot Money, il tastierista Nick Buck e il batterista Godfrey McLean.

Con "The End of the Game", questo il titolo scelto per pubblicare i risultati delle sessioni su LP, Peter Green scrive uno dei grandi dischi della chitarra elettrica. Pur se radicato saldamente nel linguaggio blues, Green spazia verso dimensioni psichedeliche, lunghi viaggi onirici che stupiscono e talvolta atterriscono l'ascoltatore, toccando vette di chitarra free form che sfidano al contempo Jimi Hendrix e Anthony Braxton.

Il disco si apre con "Bottoms Up", che potrebbe essere il brano che sublima la carriera di un chitarrista blues psichedelico, cantata di nove minuti per wah-wah che è un lungo viaggio - eppure è solo il riscaldamento per ciò che verrà dopo.

La breve, delicata "Timeless Time" ci introduce infatti al delirio free blues di "Descending Scale", influenzata dal free jazz. Prestazione superba di Dmochowski (che giustifica da sola la scelta di Frank Zappa di rubarlo per la propria band poco dopo) e corsa dissennata lungo sentieri di pura energia cosmica come se ne sono sentiti pochi eguali nel rock - per esempio nei Pink Floyd di "A Saucerful of Secrets" e "Ummagumma", chiare ispirazioni per la fase centrale del brano.

"Burnt Foot" è forse il brano meno significativo, una jam dal sapore vagamente funky che a tratti sembra un po' priva di direzione ma in senso negativo, non perché faccia veleggiare nello spazio siderale quanto perché non va da nessuna parte. "Hidden Depth", grazie soprattutto al pianoforte di Zoot Money, ci regala invece inaspettati momenti solari, perfino di dolcezza, per prepararci al tuffo finale nel mondo lisergico di Green.

A conclusione dell'LP, infatti, arriva il capolavoro nel capolavoro, la traccia del titolo, in cui Peter Green scrive con la chitarra ciò che Tim Buckley stava scrivendo con la voce - il viaggio nelle desolazioni del cosmo, il passaggio psichedelico dall'atmosfera allo spazio profondo.

Un disco decisamente allucinato per un artista decisamente allucinato; disco di musica cosmica, surreale, a tratti geniale, a tratti confuso, in esso Green corre lungo il limite che separa la libertà dalla liquefazione, e talvolta lo supera.

Purtroppo è anche quanto gli accadrà nella vita reale, infatti dopo alcune partecipazioni ad album di amici come Peter Bardens (tastierista dei Camel), BB King e i Gass, e mezzo tour con i Fleetwood Mac, sparisce dai radar fino al 1979, afflitto da schizofrenia e abuso di droghe.

- Prog Fox

Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...