Vent'anni fa oggi usciva "The Hour of the Bewilderbeast", disco d'esordio del cantante e compositore britannico Badly Drawn Boy.
(l'album completo --> https://tinyurl.com/y85bkmcz)
Cosa ascoltavamo nell'anno 2000? Il rock era ancora vivo o stava morendo? I fantastici '90 erano passati lasciando tutti con un grosso punto interrogativo, minimalismi e massimalismi si incrociavano come due facce della stessa medaglia.
Il massimalismo portato dall'ondata british, per esempio, monotematicamente scandito nel decennio precedente dal dualismo Gallagheriano-Albarniano e pronto a cavalcare le brillanti nuove leve Martiniane, rischiava di togliere spazio vitale a episodi più raccolti, non di certo secondari ma ispirati a diversi riferimenti programmatici.
Sempre di mainstream si parla, certo, ma è piacevole ricordare come ad ogni modo l'esordio ("The Hour Of The Bewilderbeast") di Damon Gough, ovvero Badly Drawn Boy, non sia assolutamente passato inosservato e anzi abbia convogliato le luci e le attenzioni della platea su un lavoro decisamente sorprendente e intelligentissimo.
Facile e doveroso riconoscere una fratellanza tra le due sponde dell'oceano: Gough è immerso nella cultura british, quelli dei sobborghi e della working class, e la sua opera è marchiata dal suo accento linguistico e musicale, ma non si può non farsi suggestionare da una comunanza estetica e lirica con il lavoro coevo di Elliot Smith. Non si aggiunge nulla di originale nel dirlo, certo, ma è interessante evidenziare come il genere indie-pop stesse trovando in quegli anni una via di qualità anche in campo puramente cantautorale, su più fronti.
Il "quid" del ragazzo disegnato male è una maestria notevole nella scrittura e nella creazione di melodie, unito (soprattutto in questo disco) ad un evidente eclettismo; il talento emerge immediatamente nella intro "The Shining", brano costruito come una mini-suite in due momenti.
Non ha paura, Damon, ad aprirsi a momenti puramente strumentali (e ce ne saranno diversi nel disco, con "Bewilderbeast 2" a spiccare) e a calcare pesantemente la mano su arraggiamenti liquidi e quasi barocchi nella resa.
Tutto però si tiene: si passa dagli arpeggi iniziale alla aggressiva sequenza chitarra/batteria/fade elettrico di "Everybody's stalking", perfetto pezzo indie-rock, senza alcuna soluzione di continuità nè sensazione di disomogenità.
Questo tocco aperto e liquido nella composizione ha grande impatto in "Magic In The Air" e "Cause a Rockslide" (sequenza centrale e probabilmente di
maggior pregio del disco), ma tutti i tasti della console sono padroneggiati con maestria. Si percorre tranquillamente il terreno delle ballad ("Pissing in The Wind"), di solito scivoloso, riuscendo a dare al brano una sorprendente impronta folk/country. Si butta sul piatto anche un brano quasi '70 e funk come "Disillusion" senza imbarazzi e anzi con mira pienamente centrata.
Si chiude con dolcezza e malinconia con "Epitaph", che dà seguito al tono bucolico del brano di apertura del disco e con approccio low-fi (che sarebbe piaciuto a Mark Linkous e ai suoi Sparklehorse), piazza un furbo e ammaliante coro infantile a salutarci e ci promette future meraviglie.
Che ci saranno, a tratti; per ora ammiriamo questo esordio, disegnato - a dire il vero - proprio molto bene.
- il Compagno Folagra
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