domenica 14 giugno 2020

Grateful Dead: "Workingman's Dead" (1970)

Il 14 giugno di cinquant'anni fa veniva pubblicato "Workingman's Dead", quinto album (quarto in studio) dei maestri della psichedelia americana Grateful Dead. L'album rappresentava però una svolta radicale verso il roots rock e il country rock, praticamente privo di ogni aggancio alla propria produzione passata. Sorprendente anche se un po' asciutto.



(il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/ycccm6dj )

Dopo il lungo tour che seguiva la pubblicazione di "Aoxomoxoa" (1969), i Grateful Dead si ritrovarono a casa, a San Francisco, dopo avere perso per strada il pianista d'avanguardia Tom Constanten, piagati da problemi economici e da preoccupazioni legate a possibili incriminazioni per reati legati alla droga. Per recuperare la propria serenità, decisero di incidere in poco tempo (meno di tre settimane) un nuovo album di canzoni scritte perlopiù dal chitarrista-cantante Jerry Garcia assieme al poeta Robert Hunter durante il tour stesso.

La scelta di registrare tutto rapidamente, senza giochetti in studio, complessi arrangiamenti e sovraincisioni elaborate, veniva sia dall'esigenza di scaricarsi mentalmente e di recuperare la dimensione giocosa della musica, sia dall'entusiasmo per il roots rock, il country rock e il folk rock che stavano dominando la musica americana dopo anni di psichedelia e musica acida - da Crosby, Stills, Nash & Young alla Band e ai Flying Burrito Brothers, ma anche alle nuove tendenze del country del Bakersfield sound (Merle Haggard, Buck Owens).

Troviamo così un disco che formalmente è basato su costruzioni armoniche che ricordano quelle di "Aoxomoxoa", facendoci comprendere a posteriori quanto i Grateful Dead in realtà provenissero dalla tradizione folk americana, ma del tutto prive di frizzi e lazzi psichedelici; incise con armonie vocali alla Byrds o alla Crosby, Stills, Nash & Young, con l'occasionale armonica o pedal steel guitar, con una produzione e suoni secchi ed essenziali, missati in modo pulito e diretto, senza gli effetti, le distorsioni e gli occultamenti dell'era acida.

Dato conto della forma concettuale della musica di questo album, seguita rigorosamente da tutti i pezzi - si tratta infatti di un album molto uniforme, nel bene e nel male - la cosa fondamentale da chiedersi resta sempre quale sia la qualità delle canzoni. Da questo punto di vista, l'album è inferiore a quelli che lo precedono: per quanto inizi molto bene con "Uncle John's Band" e "High Time", e si concluda con l'altrettanto riuscita "Casey Jones", il resto delle composizioni sono formalmente impeccabili, suonate perfettamente, ma tutto sommato prive di brillantezza.

Naturalmente, se siete amanti del country rock e della musica popolare americana, questo potrebbe anche risultare il vostro disco preferito (e questo ne spiega il successo a livello di pubblico e critica negli USA), ma a un orecchio più critico complessivamente paiono eccessivi i momenti di routine, che non convincono. Soprattutto alla luce del fatto che, pochi mesi dopo, la band pubblicò "American Beauty", che restituendo una goccia di psichedelia su una base simile, raggiunge risultati decisamente superiori.

In questo senso si può apprezzare "Workingman's Dead" come il risultato di un necessario periodo di esercizi con i quali fare pratica e - altrettanto importante - ricaricare le energie, cose senza le quali forse quel capolavoro di "American Beauty" non sarebbe potuto nascere.

- Prog Fox

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