sabato 20 giugno 2020

Deftones: "White Pony" (2000)

20 Giugno 2000, viene distribuito in tutto il mondo il terzo lavoro da studio dei californiani Deftones, "White Pony", album della definitiva transizione stilistica del gruppo, loro autentico capolavoro ancora attuale, e nondimeno uno degli album più significativi e influenti della scena alternative-metal che ha ispirato e caratterizzato tutti gli anni targati duemila.


(per ascoltare l'album: https://tinyurl.com/y97arel8)
Da sempre riluttanti all’idea di venire etichettati banalmente come nu-metal, i Deftones con "White Pony", anche se non riusciranno a scrollarsi di dosso questa catalogazione da parte dei più, tracceranno una netta linea di confine fra l’alternative autoriale e il crossover/metal pacchiano e modaiolo che stava andando per la maggiore in quel periodo.

Come detto, "White Pony" segna la definitiva svolta del gruppo verso uno stile sonoro su cui si appoggerà la loro futura carriera: già dal precedente "Around the Fur", il manifesto "Be Quiet and Drive" aveva indicato la strada da seguire, accantonate le flessioni crossover e le sfuriate rap-hardcore che avevano contraddistinto gli esordi, la direzione in cui il gruppo ora si muove resta sospesa fra le suggestioni new wave, trip hop e synth pop degli anni ’80 e le disparate influenze alternative rock, grunge e metal degli anni ’90. Un calderone che racchiude la sognante melodia psichedelica shoegaze avvolta fra distorsioni metalliche prodotte da riff ribassati.

Confermatissimo il loro producer di fiducia, Terry Date, e promosso al ruolo di membro fisso Frank Delgado (synth, tastiera, e tutto ciò che sentite di elettronico), finora sempre accreditato come ospite. Su questa pagina abbiamo parlato spesso e (soprattutto) molto volentieri dei Deftones, per cui bando ai convenevoli delle presentazioni e della biografia del gruppo, e arriviamo subito a parlare del disco in questione.

E per parlarne, cominciamo subito dalla fine: i tre pezzi finali sono estremamente esemplificativi di questa nuova direzione artistica intrapresa da Chino Moreno e soci. "Changes (In the House of Flies)", lanciato come primo singolo, mette le cose in chiaro fin da subito: niente più crossover rappato dal forte impatto groovy, adesso il Deftones-mood viene condotto da composizioni in cui prevale l’atmosfera, spesso decadente e introspettiva, impreziosita da un songwriting molto ricercato e variegato. Anche Moreno è maturato a dovere, e conduce in modo encomiabile le trame sonore con linee vocali persuadenti e molto coinvolgenti, caratterizzate da quel suo particolare stile vocale in slow motion in cui enfatizza ogni singola sillaba con quella particolare cadenza dal piglio ad alto tasso emozionale. "Passenger" ne è un altro magistrale esempio: per l’occasione Moreno duetta con James Keenan Maynard. In una vecchia intervista, il frontman dei Tool dichiarò che durante la composizione di "3 Libras" degli A Perfect Circle si arenò nella fase di stesura delle linee vocali della canzone, e trovò la giusta ispirazione grazie a colloqui telefonici con lo stesso Moreno. Questa collaborazione la possiamo vedere come un modo di restituirgli il favore. I sette minuti e mezzo (il loro personale record di durata per un singolo pezzo) di "Pink Maggit" con cui si chiude l’album, sono caratterizzati da ritmiche ruvide, ossessive e conturbanti, condite da riff dilatati e feed claustrofobici.

Andando a ritroso, di carne al fuoco nell’album ce n’è davvero tanta, e di picchi altissimi "White Pony" può vantarne parecchi. "Digital Bath" è un altro incredibile pezzo dal forte coinvolgimento emotivo, in cui Moreno offre davvero il meglio di sé in chiave interpretativa. L’ostinata ricerca di soluzioni anomale e suoni stravaganti accostati a deflagrazioni metalliche tocca vette altissime nella formidabile "RX Queen", pezzo forte di un refrain azzeccatissimo e di una struttura ritmica fortemente accostabile alla dark wave britannica, e che vede la partecipazione di Scott Weiland degli Stone Temple Pilots (non accreditato) come autore delle backing vocals.

Su livelli di qualità assoluta troviamo la graffiante psichedelia giocata su chiaroscuri di "Knife Party", in cui i vocalizzi della cantante Rodleen Getsic nella parte finale della composizione richiamano "The Great Gig in the Sky".

L’indole emotiva del gruppo trova libero sfogo nella delicata "Teenager", nettamente il pezzo più 'leggero' del gruppo, un personale tributo di Chino Moreno a quello che probabilmente è stata la sua maggiore fonte di ispirazione, Robert Smith dei Cure.

In apertura dell’album troviamo "Feiticeira", una composizione che si trova sospesa a metà fra la nuova concezione di crossover rielaborata e plasmata dal gruppo. Con quest’ultima, fa coppia "Street Carp".

"Elite" è uno dei cavalli di battaglia dell’album, certamente quello che maggiormente richiama i Deftones degli esordi, pezzo molto amato dallo zoccolo duro della fanbase del gruppo e che viene spessissimo proposto dal vivo. Tuttavia, nonostante una serie di riff molto accattivanti di pura estrazione metal di Carpenter e di un ampio ausilio di distorsori vocali di Moreno, si tratta del pezzo più lineare e canonicamente crossover presente su "White Pony". Se quindi ciò significa che sia il meno interessante, tocca a voi giudicarlo. Sulle medesime coordinate troviamo "Korea", in cui si distinguono un fuorioso refrain e una serie di massicci riff dal peso specifico altamente elevato.

Questi sono gli undici pezzi ad altissimo tasso qualitativo che vanno a comporre un album epocale, che non ha venduto milioni come hanno fatto in quegli anni i 'colleghi' Limp Bizkit o Papa Roach (e le altre band del filone maggiormente MTV friendly), ma che rimane una delle espressioni più riuscite di quello che l’alternative del nuovo millennio ha potuto offrire.

- Supergiovane

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