domenica 21 giugno 2020

Black Sabbath: "Paranoid" (1970)

Il 21 giugno di cinquant'anni fa venivano completate le incisioni di "Paranoid", secondo album dei britannici Black Sabbath e disco fondamentale della storia dell'hard rock e dell'heavy metal. Capolavoro assoluto e fondante di tantissimo rock duro, l'album fu inciso dal 16 al 21 giugno del 1970, con la produzione di Roger Bain, e pubblicato il 18 settembre successivo.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/yc5wlzua)

Il discreto risultato commerciale dell'esordio omonimo convince la casa discografica Vertigo a mandare i Black Sabbath in studio a incidere un seguito rapido rapido al debutto. Ozzy Osbourne (voce), Tony Iommi (chitarre), Geezer Butler (basso) e Bill Ward (batteria) entrano in sala di registrazione il 16 giugno del 1970 e ne escono cinque giorni dopo con uno dei dischi più importanti della storia del rock duro, pubblicato il 18 settembre dello stesso anno.

Già dalle prime note del disco capiamo di trovarci davanti a qualcosa di radicale: se il primo album aveva ancora influenze blues rock e dei Led Zeppelin, qui la musica è stata asciugata ulteriormente, rimangono solo riff granitici e una aggressività diffusa, talvolta latente, talvolta esplicita. I testi dell'album, scritti principalmente dal bassista Butler, lungi dall'essere satanisti o malvagi, attaccano la guerra e il militarismo nei giorni del Vietnam ("War Pigs"), l'abuso di droghe ("Hand of Doom") e la catastrofe nucleare-ambientale ("Electric Funeral"), mentre altri sono a tema fantascientifico ("Planet Caravan", "Iron Man"), anche se non mancano una amara riflessione contro l'alienazione ("Paranoid") e un pezzo a sfondo essenzialmente umoristico ("Fairies wear boots").

Musicalmente, "Paranoid" è forse il disco che da il via all'heavy metal moderno, fornendo una alternativa alle tre grandi vie percorse sinora dal rock duro, ovvero quella americana (iniziata dagli Steppenwolf e che, filtrata talvolta attraverso la chiave di lettura dei Rolling Stones, vedrà sempre una certa tendenza proletaria e popolare passante da Aerosmith, Bon Jovi, Guns) e le due britanniche dei Led Zeppelin e dei Deep Purple, imparentate più strettamente con blues rock e progressive rock.

"Paranoid", già dalle prime note del capolavoro "War Pigs" (titolo che doveva dare il nome all'album, scartato dalla casa discografica per paura di alienare gli acquirenti americani), rompe con le convenzioni precedenti, introducendo un suono pesante, pachidermico, ossessivo e cupo, che si ritrova anche in "Iron Man", nell'orientaleggiante "Electric Funeral" e in "Hand of Doom". Alla batteria di Ward viene lasciato ampio spazio per evoluzioni e coloriture, ma sempre all'interno di una struttura lenta e ondeggiante. Non che la musica del gruppo si limiti a questo: strepitose sono le parti strumentali accelerate dei due brani, che danno varietà e profondità ai pezzi, in cui la chitarra di Iommi esplode in brevi assoli e il basso di Butler mostra notevole gusto melodico.

Al novero dei capolavori va aggiunta poi "Paranoid", breve canzone ispirata da "Communication Breakdown" dei Led Zeppelin, di cui è una versione contratta, un brano svelto di neanche tre minuti in cui Ozzy trova una delle sue più ispirate linee melodiche. Lungo tutto l'album, il cantante punta più sulle proprie doti interpretative e sul proprio immenso carisma che su abilità tecniche che non sono certo comparabili a quelle di Ian Gillan o Robert Plant. "Paranoid", così come "Planet Caravan", sognante, perfetta ballata psichedelica per flauto, basso e percussioni, contribuisce a mantenere una certa varietà e ad aumentare l'interesse nell'album.

Completano l'album il breve strumentale con assolo di batteria "Rat Salad", ispirato a "Moby Dick" dei Led Zeppelin, e la fantastica, assai articolata "Fairies wear boots", che percorre una strada diversa dai suoi fratelli in rock scegliendo coordinate più simili a certo hard rock sincopato dei Deep Purple prima di lanciarsi in un rock che conserva tracce di blues e blue eyed soul, più in linea con certe cose dei Free e dei Jethro Tull, anche se molto, molto più aggressivo e violento, con una prova magistrale di Bill Ward dietro i tamburi, oltre a un riff finale superlativo.

Senza paura di esagerare, si può dire che "Paranoid" è forse il disco più importante della storia dell'heavy metal, e ne rappresenta il suo "In the court of the crimson king" o il suo "Never mind the bollocks", per citare altri dischi che hanno segnato per sempre il genere che hanno cristallizzato. Ma non è solo un disco importante, è un disco eccezionalmente godibile e coinvolgente, la cui freschezza nelle sonorità e l'entusiasmo dei suoi musicisti sono percepibili e respirabili chiaramente anche a cinquant'anni di distanza.

- Prog Fox

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