mercoledì 3 giugno 2020

Deep Purple: "In Rock" (1970)

Il 3 giugno di cinquant'anni fa viene pubblicato "In Rock", quinto album dei Deep Purple, uno dei più importanti gruppi di rock di tutti i tempi. Hard rock ormai entrato nella leggenda in cui si conia per sempre l'inconfondibile (e influente) cifra stilistica della band, fatta degli infuocati, distorti duelli di assoli neoclassici fra organo e chitarra e delle urla sgolate di Ian Gillan, "In Rock" è un disco fondamentale nell'evoluzione del rock duro e del metallo pesante.


(l'album completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/y8539gl2)


Dopo il terzo album, i Deep Purple decidono di dare un taglio alla psichedelia sixties del cantante Rod Evans e alle ambizioni classiche del tastierista Jon Lord: vogliono infatti mettersi sulla scia di quello che giustamente interpretano come uno dei principali cambiamenti del rock di quegli anni, ovvero i Led Zeppelin, che hanno tracciato la strada per il futuro della musica rock degli anni settanta.

Per fare ciò, il chitarrista Ritchie Blackmore e il batterista Ian Paice da un lato danno in cambio a Lord la promessa di lavorare al suo Concerto per Rock e Orchestra (inciso e pubblicato nel 1969), e dall'altro decidono che Evans dovrà lasciare la formazione. Ma da veri infami non glielo dicono: reclutano Ian Gillan e, per farlo, accettano di prendersi a carico anche il suo bassista Roger Glover, stabilendo in segreto anche la cacciata di Nick Simper. Nasce così la cosiddetta Mark II dei Deep Purple.

Il risultato di tanta infamia sarà comunque uno dei dischi fondamentali degli anni settanta: i Deep Purple con "In Rock" inaugurano la loro trilogia di album strepitosi ("In Rock", "Fireball" e "Machine Head"), una delle triplette più importanti della storia del rock britannico, con la quale i Deep Purple entrano a buon diritto nella trimurti sacra dell'hard rock Led Zeppelin - Black Sabbath - Deep Purple.

Con "In Rock" il gruppo compie delle innovazioni significative rispetto alle tematiche musicali introdotte dagli Zeppelin: intanto gli aspetti neoclassici apportati alla musica da Blackmore e da Lord, che rimangono, imbrigliati all'interno di un contesto fortemente hard invece che nelle fantasie progressive dei loro contemporanei. Questa scelta di fatto ne fa i padrini del metal sinfonico, della new wave of british heavy metal, dei chitarristi metal neoclassici, del power metal.

Esempio massimo di questa evoluzione e di questo percorso è il capolavoro nel capolavoro, "Child in Time", la cui strofa viene elaborata da Jon Lord a partire dal riff iniziale di "Bombay Child" del gruppo psichedelico americano It's a Beautiful Day. Il crescendo di organo e chitarra su cui Gillan esplode il proprio falsetto in vibrato viene poi squarciato da un breve bolero che ci porta al clamoroso solo di Blackmore e alla lunga, incendiaria, mutevole sezione strumentale del pezzo.

In secondo luogo, le ritmiche di Paice e Glover sanno farsi black e funky, come si può sentire in "Bloodsucker". Questi elementi hard soul saranno ancora più presenti nella successiva formazione con Coverdale e Hughes nel ruolo di cantante e bassista (la cosiddetta formazione Mark III), ma nascono e sono presenti già da "In Rock", mentre né Led Zeppelin né - figuriamoci - Black Sabbath vorranno o sapranno metabolizzarle.

Se i Led Zeppelin aumentavano i colori della propria tavolozza senza però lasciare il blues, i Deep Purple perseguivano, come i Black Sabbath, una musica che se lo lasciasse alle spalle (o quantomeno ne nascondesse l'ispirazione) - e la loro scelta è di farlo puntando sulla velocità ("Speed King"; "Flight of the Rat", il cui riff sembra un antesignano delle composizioni degli Iron Maiden; "Hard lovin' man" in cui compare per la prima volta nell'hard rock il ritmo anapestico che caratterizzerà proprio gli Iron stessi).

Ë facile rendersi conto della quantità di artisti, di percorsi e di sottogeneri che si trovano in nuce dentro questo album dei Deep Purple. Tutto ciò ne fa il disco più importante della loro carriera. Se ne faccia anche il migliore è domanda difficilissima a cui rispondere, pensando alla caratura dei prossimi due dischi della Mark II, "Fireball" (1971) e "Machine Head" (1972).

- Prog Fox

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