lunedì 18 maggio 2020

Harvey Milk: "A Small Turn of Human Kindness" (2010)

"A Small Turn of Human Kindness" è l'atto finale della carriera degli Harvey Milk, provenienti dalla Georgia e proponenti di una originale forma di heavy rock che costeggia doom, stoner e sludge senza assumere la forma di alcuno di essi. Per quella che è la loro ultima apparizione discografica, gli Harvey Milk attingono al meglio delle proprie capacità e realizzano un capolavoro che è il loro canto del cigno.



(l'album completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/ybkfgt5w)

Nati nel 1992 ad Athens, Georgia, patria di tanti grandi gruppi a partire dagli R.E.M., i più noti fra loro, gli Harvey Milk prendono il nome dal noto attivista per i diritti omosessuali assassinato il 27 novembre del 1978 a San Francisco. Dopo il loro scioglimento nel 1998, si riformano nel 2006 e pubblicano due dischi colossali: "Life... The Best Game in Town" (2007) e questo conclusivo "A Small Turn of Human Kindness", al quale lavorano il cantante-chitarrista Creston Spiers, il bassista Stephen Tanner e il batterista Kyle Spence.

Il disco è probabilmente il più dissonante e cupo prodotto nella loro carriera, quasi del tutto privo di un qualsivoglia barlume di colore, come si evince dalla copertina del tutto adeguata. Le canzoni sono tutti elaborati, mastodontici leviatani sonici, una lenta valanga di distorsione e tonalità inusuali, su cui ogni tanto brilla un lancinante raggio di luce che filtra dalle nubi nere delle chitarre: per esempio, "I know this is no place for you" sfodera un chiaroscuro potentissimo contrapponendo alla voce e alla sei corde di Spiers una luminosa base di mellotron, mentre in "I Alone Got Up and Left" l'elemento anomalo è un breve, deciso solo della chitarra.

Le atmosfere create sono superbe, anche se chiaramente non facilmente digeribili; a volte, quando non opprimono col loro peso, diventano di pura depressione minimalista, come sul finale di "I know this is all my fault" per piano e voce sommessa. Occasionalmente dalla massa di lava incandescente fuoriesce un abbozzo di ritornello o una figura quasi melodica, che presto torna a sprofondare nel magma sonoro, come nella conclusiva "I did not call out", dalla quale emergono sovrapposizioni di chitarre epiche che ricordano persino Brian May e i Queen. Posta a conclusione di album e di carriera, è una composizione perfetta che sugella l'opera di una delle formazioni più geniali, originali e sottovalutate di tutto il mondo doom-sludge-stoner.

Dopo la pubblicazione del disco, gli Harvey Milk più o meno spariscono dai radar: il solo Creston Spiers continua a pubblicare musica autoprodotta sulla piattaforma Patreon, con una quantità minima di informazioni a riguardo. Ci hanno però lasciato una manciata di album terribili, e un canto del cigno tanto oscuro quanto superlativo.

- Prog Fox

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