venerdì 17 aprile 2020

Nick Cave & the Bad Seeds: "The Good Son" (1990)

Il 17 aprile di trent'anni fa usciva "The Good Son", sesto album di Nick Cave & The Bad Seeds, che segnava un parziale cambio di atmosfera, più positiva e meno autodistruttiva, per leader e gruppo, grazie alla riabilitazione di Cave dalle droghe e alla sua ritrovata serenità interiore nella relazione con la giornalista brasiliana Viviane Carneiro.



(il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/ychnzzen)


Sul fatto che Nick Cave sia uno dei più importanti cantautori della sua generazione, poco ci piove: il bardo di Melbourne è sulla scena da oltre quarant’anni, contando anche le esperienze con i Birthday Party; tra le impronte più significative, nel palcoscenico dei poeti con la chitarra, la sua è certamente presente, prominente, profonda.

Dal wave-punk-blues degli esordi, alla transizione verso territori più morbidi, ma non meno lancinanti, gli anni ’80 di Cave culminano in questo “The Good Son”, disco giunto alla fine di un lungo giro del mondo che ha portato Cave in Europa, tra Berlino e Londra, e poi sulla East Coast americana per arrivare in Brasile, a San Paolo.

Le influenze brasiliane si sovrapporranno a tutte quelle assorbite da Cave e soci (Blixa Bargeld alla chitarra elettrica e seconda voce, Kid Powers alla chitarra ritmica, Thomas Wydler alla batteria, e Mick Harvey a fare tutto il resto, inclusi vibrafono e produzione artistica) durante il succitato peregrinare, facendo di quest’album un ricco catalogo di suoni, attitudini, atmosfere.

Come d’abitudine della casa, i molti temi e le molte storie narrate in queste nove canzoni convergono inevitabilmente verso le forze autodistruttive nascoste nella psiche umana, con atmosfere e tropi che oscillano tra il melanconico e rassegnato dell’apertura di “Foi na Cruz” e del singolo-capolavoro “The Ship Song”, preghiere d’amore laiche, struggenti, superbamente arrangiate dalla produzione elegante di Harvey, all’incedere angosciante e marziale di “The Good Son”; dal rockabilly maligno di “The Witness Song”, al rock western di “The Hammer Song”.

Le tipiche ballad à la Nick Cave sono rappresentate da “Sorrow’s Child” e dalla conclusiva “Lucy”, e sono splendide come moltissime di quelle prodotte da Cave durante la sua carriera.“The Good Son” non è tanto il disco della maturità di Nick Cave e dei Bad Seeds, quanto quello in cui le potenzialità del gruppo emergono e raggiungono il picco; non quello in cui gli abissi descritti da Cave sono più oscuri, ma quello in cui le lame di luce che trafiggono il dolore e il mal di vivere sono più luminosi; quello in cui la varietà di soluzioni e di stili va a braccetto con una produzione ricca ma austera, elegantissima ma sobria, letteralmente priva di qualsiasi sbavatura.

Una delle punte di diamante di un songwriter che da quasi mezzo secolo conduce una danza mortalecon la propria vocazione, il proprio destino quasi, di leggenda del Rock.

- Spartaco Ughi

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