lunedì 20 aprile 2020

Jethro Tull: "Benefit" (1970)

Il 20 aprile di cinquant'anni fa usciva "Benefit", terzo album dei prog rocker britannici Jethro Tull. Schiacciato tra due successi di critica e pubblico quali "Stand Up" e "Aqualung", questo album tende a essere un po' dimenticato dagli amanti del rock classico, ma è giustamente assai apprezzato dai fan della band.



(il disco completo con bonus i singoli e le b-sides dell'epoca si trova qui --> https://tinyurl.com/ybw5tzxu)

Il periodo più innovativo e originale della produzione dei britannici Jethro Tull va dal 1969 al 1972 e include quattro album in studio più diversi singoli ed EP, raccolti sulla gloriosa antologia "Living in the Past". "Benefit", terzo album del gruppo, viene pubblicato nel 1970 ed è certamente uno dei migliori dischi della storia dei Jethro.

Se "Stand Up" (1969) è il disco preferito dagli amanti degli anni sessanta e del blues rock britannico, "Aqualung" (1971) è il preferito degli amanti dell'hard rock e dell'heavy metal, e "Thick as a Brick" (1971) è il preferito degli amanti del progressive, "Benefit" non è il preferito di nessuna di queste categorie, ma potrebbe essere il preferito degli amanti del gruppo in quanto tale.

Disco che trabocca di creatività forse più di ogni altro della formazione guidata dal cantante Ian Anderson, celebre per suonare il flauto su una gamba sola, "Benefit" vede i Jethro Tull espandere il proprio suono in ogni direzione, con una ulteriore estensione sonora rispetto al già fertile "Stand Up" dell'anno precedente.

Un ruolo non piccolo nella dinamica del gruppo lo gioca l'ultimo arrivato, il pianista e organista John Evan, che resterà col gruppo per un decennio intero. Evan, amico di giovinezza di Ian Anderson, è qui ancora solo ospite, ma diverrà membro a tempo pieno nel tour successivo. Ciò nonostante, il suo pianoforte e il suo organo sono qui fondamentali nell'appoggiare le inclinazioni progressive di Anderson, con credenziali che si rafforzano proprio su questo album.

Oltre ad Anderson ed Evan, ritroviamo i membri originali Glen Cornick (basso) e Clive Bunker (batteria), sezione ritmica creativa e indisciplinata (nel senso buono del termine), e il nuovo chitarrista Martin Barre, giunto l'anno prima per "Stand Up" e che rimarrà spalla di Ian Anderson per oltre un trentennio.

Il disco ha ambizioni notevoli e le sue dieci canzoni possono essere divise in due gruppi principali: quelle più elaborate ed epiche, spesso di lunghezza non indifferente, di taglio progressive simile a quello di band come i Family, ma con un deciso approccio personale dato soprattutto dall'uso sia di influenze folk sia classiche, e che ricorrono anche a trucchi di studio e ampio uso della registrazione multitraccia; e quelle più brevi e semplici, spesso costruite attorno a una singola idea dominante e che ricordano maggiormente lo stile di "Stand Up".

Al secondo gruppo appartengono episodi minori del disco come l'incalzante "Play in Time", la jazzata, gradevole ma inessenziale "Alive and well and living in"; il valido conflitto generazionale di "Son", fra un matusa e il figlio sognatore; e due pezzi perfettamente riusciti come la malinconia sullo scorrere del tempo di "A time for everything" e la deliziosa, leggera, ammiccante "Inside", che fornisce forse l'unico episodio gioioso di un disco più spesso dai toni corruschi e cupi.

Al gruppo di canzoni più lunghe e articolate appartengono invece la prima traccia, "With you there to help me", che presenta stupefacenti accompagnamenti di flauto ottenuti incidendo i nastri al contrario, potenti incisi di Barre all'elettrica e il caos creativo di Bunker alla batteria; la seconda traccia, "Nothing to Say", dolente e straziante, costruita su strati di chitarre elettriche di Barre e sovrapposizioni della voce di Anderson, canzone che deve qualcosa alla "Epitaph" dei King Crimson; e la complessa cavalcata hard blues "To cry you a song", con la chitarra di Barre in primo piano.

A questo gruppo appartengono anche i due massimi capolavori del disco, entrambe ballate folk progressive di strepitosa fattura. A chiudere il lato A troviamo "For Michael Collins, Jeffrey and Me", elaborata dedica all'astronauta che rimase nell'astronave di controllo mentre Armstrong e Aldrin scendevano sulla Luna pochi mesi prima, dotata del ritornello più bello dell'intero album; mentre a chiudere il disco tutto è la delicata fantasia dal sapore fantasy medievale "Sossity; you're a woman", che poggia tutta sul dialogo fra le chitarre acustiche di Anderson e l'organo di Evan.

Lo splendido "Benefit" diviene così di fatto il disco della maturità di Ian Anderson come autore, anche perché è qui che il ventiduenne di Blackpool scopre la sua vena verbosa e moraleggiante nelle liriche e diventa definitivamente il menestrello del prog britannico, in musiche e testi.

"Benefit" è anche un disco fondamentale nello sviluppo del suono dei Jethro Tull, sempre più inclini a diminuire la componente blues e jazz negli arrangiamenti per abbracciare il nuovo progressive rock (pur se guardando maggiormente a Bach che non ai romantici e ai modernisti a cui guardano King Crimson, Van der Graaf Generator ed Emerson, Lake & Palmer) e al contempo a strizzare sempre più l'occhio con simpatia al folk revival e al folk progressivo di Fairport Convention e Strawbs.

- Prog Fox

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