sabato 25 aprile 2020

Black Sabbath: "Heaven and Hell" (1980)

Il 25 aprile di quarant'anni fa usciva "Heaven and Hell", primo e splendido disco dei Black Sabbath con il nuovo corso firmato dal cantante italoamericano Ronnie James Dio al posto del dimissionario Ozzy Osborne.


(il disco completo --> https://tinyurl.com/y9ukkn7g)

Durante la seconda metà degli anni settanta, il quartetto britannico originario di Birmingham si era contraddistinto più che altro per album deludenti quali "Technical Ecstasy" e "Never Say Die!", per esibizioni dal vivo tutt’altro che convincenti e, non ultimo, per i continui attriti all’interno dalla band, causati da Ozzy (peraltro, nel frattempo, brevemente sostituito dall’ex Fletwood Mac Dave Walker, prima che venisse reintegrato), perennemente sotto effetto di droghe varie e assortite, ormai completamente ingestibile e svogliato, sempre più in disparte nel processo compositivo della band (i testi dell’ultimo album furono scritti da Bill Ward, giusto per dire…).

Lo split era inevitabile, e così fu. Ozzy venne licenziato (lui racconta di essersene andato di propria iniziativa), i rimanenti superstiti del nucleo storico Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward tentarono di rimettere insieme i pezzi, e decidere che fare del proprio futuro.

La situazione in realtà non era propriamente incoraggiante: Ward, grande amico di Ozzy e con problemi di alcolismo, era a terra, e lo stesso valeva per Butler, scettico all'idea di continuare senza l’eccentrico frontman e alle prese con problemi di depressione da tempo. Fu la determinazione di Iommi a salvare la baracca, l’unico che ancora credeva nel gruppo, e che si era mostrato artefice di quel poco di salvabile che aveva contraddistinto le ultime prove da studio.

Per rimpiazzare Ozzy non venne cercato un cantante con caratteristiche simili, ma venne preso quello che Iommi giudicava come il “free agent” migliore sulla piazza: Ronnie James Dio, il quale aveva per divergenze professionali salutato da poco Ritchie Blackmore e i suoi Rainbow, il gruppo che gli aveva consentito di acquisire la fama di cui godeva.

Confrontando Ozzy e Dio, possiamo solo dire che si tratta di due singer che stanno agli antipodi: l’atteggiamento di Dio è estremamente professionale e meticoloso, il suo stile canoro estremamente quadrato e lineare, volto a valorizzare le sue enormi capacità tecnico-vocali esibite sempre ad alti picchi di ottave. Uno stile divenuto da esempio per molti cantanti delle epoche a venire. Ozzy invece, beh, non avrà mai preso una lezione di canto, ma Ozzy è Ozzy cazzo, la sua verve istrionica è insostituibile, che ve lo diciamo a fare...

Venne inoltre aggiunto un quinto membro al gruppo, Geoff Nichols alle tastiere (tastiere e synth che già nel superbo "Sabbath Bloody Sabbath" erano state sperimentate con risultati grandiosi, grazie a Rick Wackeman degli Yes, non menzionato nei crediti per vincoli contrattuali). Tuttavia, Nichols venne accreditato nel gruppo solamente come turnista ospite per oltre cinque anni, e nelle date dal vivo dovette inizialmente suonare dietro il palco per “motivi scenografici e di immagine del gruppo”.

La mutazione di sonorità e attitudine con cui Iommi rinnovò il nuovo sound dei Sabbath fu inevitabilmente legato alla concezione musicale di Dio e di quello che aveva raccolto con i Rainbow. Anche il sound divenne più duro e corposo, seguendo i dettami che il nascente movimento del NWOBHM stava impartendo. L’attitudine hard ‘n’heavy di Iommi venne riplasmata con quel gusto barocco dai toni cavallereschi che avevano contraddistinto i lavori di Dio con la propria band di provenienza. Anche i testi, ovviamente curati dal nuovo singer, abbandonavano le tematiche occulte e ambigue (sempre affrontate in modo caricaturale e farsesco da Ozzy, ma provate ad andarlo a dire a quelli che si ascoltavano i loro dischi al contrario) per sposare le tematiche epiche, mitologiche e fantasy care a Dio.

La leggendaria titletrack si posizionò subito fra le migliori composizioni mai prodotte dai Sabbath: un mid tempo cadenzato roccioso ed elegante, che nella seconda parte spinge il piede sull’acceleratore sfociando in un’epica cavalcata elettrizzante dai toni trionfali, Iommi macina riff su riff al massimo delle proprie capacità seguito a ruota dal basso di Butler (mai così protagonista nell’alchimia ritmica del gruppo) a suon di terzine, supportati dal sempre preciso e potente Ward (che dopo le registrazioni dovette abbandonare il gruppo per qualche tempo per concentrarsi sulla sua disintossicazione, favorendo l’ingresso nel gruppo di Vinny Appice) dietro le pelli. Un pezzo che ha fatto scuola per molte band metal nei tempi a venire. Così come ha fatto scuola la veloce opener "Neon Knight", altro grande classico del gruppo, rinvigorito e risanato dopo gli anni bui dell’ultimo periodo con Ozzy.

"Die Young" è un’altra gemma: intro evocativo guidato dai synth di Nichols, che poi parte subito in quarta in un’altra cavalcata con la chitarra solista di Iommi spesso chiamata in causa, fino al break del soffuso refrain/bridge seguito da un’altra ripartenza. Una struttura non dissimile da un altro pezzo da novanta dell’album, "Children of the Sea", mid-tempo rapsodico che riporta alla mente una composizione quale "Temple of the King" (dei Rainbow), rivisitata con la proverbiale dinamicità sabbathiana.

"Lady Evil" si muove invece su coordinate più tipicamente hard rock dal sapore blues, trattasi di un pezzo più caratteristico dei vecchi Sabbath, non meno valida è la (nutrita) performance solista di Iommi, Ronnie James Dio invece si dimostra meno a proprio agio su queste sonorità, gigionando con mestiere.

Su coordinate squisitamente seventies si muove pure la rockeggiante "Wishing Well" (dove i riferimenti ai Blue Oyster Cult appaiono più marcati), e la più canonica "Walk Away", che per quanto non si possa considerare un filler, possiamo indicare come il pezzo più debole del lotto.

Chiude l’album "Lonely is the World", energico lentone che vede Iommi protagonista assoluto, specialmente nella seconda fase della canzone, quando sfocia in una ballatona sofferta dal mood zeppeliniano (e i feed finali in sottofondo di Nichols sembra vogliano quasi richiamare "Stairway to Heaven").

Decade nuova, formazione nuova, formula nuova. Il risultato fu un altro grande album, fra i migliori della loro discografia, probabilmente il migliore del nuovo corso post-Ozzy.

Il destino però lo sappiamo è beffardo, dopo un altro album, "Mob Rules" (buono, ma non quanto "Heaven and Hell"), i Black Sabbath pubblicarono il primo album dal vivo della loro carriera, "Live Evil". Considerato come uno dei migliori live di sempre, venne però sommerso di polemiche per più che sospette sovraincisioni (pratica comunque comune in quegli anni), sull’onda del putiferio scatenato Ronnie James Dio decise di abbandonare il gruppo e intraprendere la carriera solista.

Da allora la carriera dei Black Sabbath si dipanerà fra continui cambi di cantante, di formazione, e soprattutto di stile, fra abbandoni e ritorni fra cui quello dello stesso Dio (molto breve) oltre naturalmente a quello di Ozzy, con cui hanno potuto almeno chiudere la carriera.

- Supergiovane

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