giovedì 26 marzo 2020

Van Halen: "Women and children first" (1980)

Usciva oggi quarant'anni fa "Women and children first", terzo album dei grandissimi Van Halen, protagonisti seminali dell'hard rock/heavy metal a cavallo tra settanta e ottanta. Si tratta a nostro parere di uno dei migliori album della carriera del gruppo.



(il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/vg9att2)


Già con l’omonimo esordio, il gruppo formato dai fratelli Van Halen e dal frontman David Lee Roth (ops, scusaci Michael Anthony, stavamo dimenticando che al basso ci sei anche tu!) aveva raggiunto un successo planetario, forti di un’opera prima davvero ispirata e innovativa e di una fama già consolidata grazie alle numerose esibizioni nei maggiori locali californiani. Ne era seguito il tour da spalla ai Black Sabbath, tour in cui grazie alle loro performance esplosive avevano messo in ombra gli stessi headliner, ormai spenti e privi di stimoli, in cui la prima fase Ozzy stava tramontando.

Il secondo album, per quanto si trattasse di un lavoro solido munito di un paio di pezzi notevoli, non aveva la stessa carica e ispirazione dell’esordio. E non poteva nemmeno più contare sull’effetto sorpresa dovuto alla freschezza del primo lavoro. Possibile che la carica propulsiva dei Van Halen si fosse già assopita?

Fortunatamente, ci pensa questo "Women and Children First" a scacciare ogni timore: quello che ne viene fuori è il loro lavoro più maturo e variegato finora composto. Nove pezzi (più una microscopica ghost track) per mezz’ora netta di grandissimo rock americano di nuova generazione, che gode dell’infinita linfa creativa prodotta da Eddie Van Halen e le sue evoluzioni funamboliche e della carica carismatica di David Lee Roth (il quale si affida anche alla sua immagine estremamente glamour, che qualche anno dopo verrà additata come “poser” da un gruppo di famosi metallari vestiti da vichinghi). Quest’ultimo partecipa maggiormente rispetto in passato al processo creativo dell’album. Sicuramente un valore aggiunto, ma a lungo andare (anzi, a dirla tutta nemmeno tanti anni dopo) il suo ego finirà per essere corrosivo all’interno dell’alchimia del gruppo. Ma questa è un’altra storia, ci torneremo eventualmente sopra un altro anno. Magari verso il ***4.

A dar fuoco alle polveri provvede "And the Cradle Will Rock", e qui l’album si apre come è giusto che sia, con un riff effettato e distorto che poi accompagnerà la sezione ritmica per l’intero mid tempo che caratterizza il pezzo. Tutto da copione, non fosse per il fatto che questo riff non è ottenuto con le sei corde della sua iconica Frankenstrat, ma bensì con una Wurlitzer (una pianola elettrica in voga negli anni ’60 e ’70) con effetto flanger. Qualcuno una volta, all’epoca disse “il vero rock è morto nel 1978, poi qualcuno ha iniziato a usare un distorsore e non si è più capita la differenza fra musica e rumore”. In barba a questi luoghi comuni enunciati da conservatori integralisti, Eddie Van Halen se ne sbatte e continua a esplorare l’infinito universo delle distorsioni e delle modulazioni armoniche elettriche.

Fra gli highlight dell’album troviamo anche e soprattutto la frizzante "Romeo Delight", canzone in stile stop and go sulla falsariga di "Whole Lotta Rosie" (AC/DC, NdR) dove la band si dimostra in gran spolvero, e la superhit "Everybody Wants Some!!", pezzo super accattivante con i suoi ritmi tribaleggianti e il suo refrain anthemico.

Desta grande interesse anche la tripletta finale dell’album, formata dalla bluesy "Take Your Whiskey Home" (introdotta da quegli arpeggi di matrice country che sentiremo spesso nella discografia di David Lee Roth), dall’acustica "Could This Be Magic", e dall’atipica finta ballad "In a Simple Rhyme". Ma si attestano su buonissimi livelli anche il blues rock di stampo tipicamente vanhaleniano di "Fools" e quella bordata che risponde al nome di "Loss Control", quasi ai confini del metal.

A proposito di metal, troviamo la breve "Tora! Tora!" come intermezzo, un chiaro tributo ai Black Sabbath che con quel tempo cadenzato, quel mood maligno, quel solismo barocco e quelle urla acute di David Lee Roth si avvicina molto a quanto proporrà King Diamond (oltre che ai Sabbath stessi con "Disturbing the Priest").

Si, finisce tutto troppo presto, appena mezz’oretta di grandissimo rock a base di tutti gli ingredienti che hanno reso celebri i Van Halen. Non abbiamo esitazioni nel ritenere questo "Women and Children First" sia il miglior lavoro prodotto dal gruppo assieme al loro primo album.

- Supergiovane

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