sabato 14 marzo 2020

Pantera: "Reinventing the Steel" (2000)

"Reinventing the Steel", nono e ultimo album dei superbi metallari americani Pantera, veniva pubblicato il 14 marzo di venti anni fa. Il singolo di lancio "Reinventing the Steel" fu nominato per un Grammy e dichiarato singolo dell'anno dai lettori della rivista Metal Edge, che votarono l'album come album dell'anno.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/twh3a3x)
Fu davvero insperata la pubblicazione del quarto album da studio dei Pantera, Reinventing the Steel (quarto calcolando "Cowboys from Hell" come disco uno dell’anno zero, della seconda fase della carriera del gruppo; nono contando anche la fase I della band, NdR). Infatti lo scenario che qualche anno prima si stava per realizzare, era questo: Phil Anselmo, eroinomane accanito, va in overdose durante il tour di "The Great Southern Trendkill", decretando la dipartita di una delle più importanti e seminali band del metal di seconda generazione che ha caratterizzato gli anni novanta.

Anselmo poi miracolosamente si salverà, ma le ripercussioni dovute ai rapporti tesi con gli altri membri del gruppo (e, in particolare, con i due fratelli Abbott) anziché placarsi si acuiranno.

Nel frattempo, la popolarità del quartetto texano non andò scemando, tutt’altro: i loro album continuarono a vendere parecchio, e la band nel frattempo trovò pure il tempo di rilasciare il live "101: Proof", altro campione di vendite il quale conteneva pure due inediti composti subito durante il decorso di Anselmo in riabilitazione.

Qualcosa però si era ormai irrimediabilmente rotto nell’alchimia del gruppo. La band si prese un periodo di pausa, e Anselmo si dilettò nel prestare i suoi servizi (nelle inedite vesti di chitarrista) in progetti vari, passando dai Necrophagia, ai Vinking Crown, fino ai Southern Isolation, gruppo in cui militava la moglie. Mise in piedi anche un gruppo tutto suo, chiamato Superjoint Ritual. L’etichetta discografica però, la Atlantic, stava reclamando, come da contratto ancora un album. Almeno un altro. Controvoglia, i Pantera si rimisero a lavorare assieme per dare un seguito all’ultimo album di inediti datato 1996.

Dopo quattro anni, ecco finalmente arrivare "Reinventing the Steel". Senza reinventare nulla, i Pantera abbandonano le evoluzioni e sperimentazioni apportate al loro songwriting con il precedente "The Great Southern Trendkill" (dove avevano sacrificato una buona fetta del proprio groove) in favore del loro sound primordiale più genuino e diretto.

Sfortunatamente, ormai gran parte dell’ispirazione che li ha accompagnati per la prima metà dei nineties è andata ormai a dissolversi. L’album in sé è anche gradevole e vario, ma non regge minimamente il confronto con i predecessori, sia in termini di ispirazione che di potenza. E la scialba produzione, ad opera degli stessi fratelli Darrell con l’ausilio dell’amico Sterling Winfield (zero esperienza nel settore), non aiuta di certo. Intendiamoci, il gruppo non ha perso quel piglio creativo che li ha sempre contraddistinti, ma sembra davvero che la band suoni stanca e controvoglia.

L’iniziale "Hellbound" è molto esemplificativa riguardo quello che ci si può aspettare da quest’album: il pezzo inizia con un riff che adotta la stessa distorsione di "Cowboys from Hell", operazione nostalgia per i fan di vecchia data, ma la canzone risulta davvero poco riuscita dato che nella sua breve durata suscita solamente un mucchio di deja vu senza mai riuscire a incidere, complice anche una prestazione piatta di Anselmo ormai incapace di ringhiare ferocemente come ai vecchi tempi, e nondimeno accompagnato da un Darrell che con le sue sei corde offre solo tanto mestiere e poco estro. Per tutto il disco, ahinoi, la performance di Dimebag risulterà piuttosto deludente.

Comunque sia, il gruppo è ancora capace di regalarci (almeno) un nuovo grande classico, "Revolution is My Name" sarà la hit del disco. Ispirato dal testo autobiografico, Anselmo offre una prestazione assolutamente valida eseguita su linee vocali finalmente convincenti. Anche Darrell ci costruisce sopra una sezione ritmica accattivante e un assolo degno della sua fama.

Su livelli discreti troviamo anche "Yesterday Don’t Mean Shit", dove il gruppo mostra di aver ancora qualche cartuccia da sparare, e "Goddamn Electric" (che vede ospite Kerry King nel solo finale), mid-tempo cadenzato che mette il risalto il loro gusto squisitamente Sabbathiano.

Il loro retaggio a base del rock settantiano dei Black Sabbath è ancora più accentuato nelle conclusive "It Makes Them Disappear" e "I’ll Cast a Shadow", quest’ultima nella top three dei pezzi più riusciti di questo lavoro.

Le vendite e il relativo tour andarono bene nonostante lo scarso stato di forma della band, almeno fino al famigerato 11 settembre 2001. Affermando di essere rimasto scosso dall’accaduto, Anselmo comunicò alla band di volersi prendere una pausa a tempo indeterminato, e venne così cancellato il tour europeo. Probabilmente, fu solo il pretesto per staccare la spina alla band. Dopo un lungo periodo di silenzio, misero fine ufficialmente alla loro attività.

"Reinventing the Steel" rimane il loro testamento musicale, non propriamente quello per cui i fan avrebbero voluto ricordarli. Un album che non ricalca i fasti che li hanno resi celebri. Però, checcavolo, è pur sempre un album dei Pantera…

- Supergiovane

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