domenica 22 marzo 2020

Dillinger Escape Plan: "Option Paralysis" (2010)

Usciva dieci anni fa oggi "Option Paralysis", quarto full-lenght di una band che nella sua carriera non ha mai sbagliato nulla, i Dillinger Escape Plan. Non solo, sicuramente, uno dei migliori album del gruppo, ma anche uno dei migliori album di rock/metal del decennio appena concluso.



Il disco completo --> https://tinyurl.com/sg96ga9

Reduci dall’incredibile esordio "Calculating Infinity", dall’acclamatissimo "Miss Machine" e dall’altrettanto convincente "Ire Works", la band del New Jersey, leader in campo mathcore, rispetta l’usuale cadenza triennale e butta fuori un album fenomenale in cui prosegue la propria maturazione stilistica, consolidandosi come una delle migliori e più originali ensemble metal (generalizzazione di genere necessaria) del nuovo millennio. E compie il grande passo staccandosi dalla propria casa discografica madre (la Relapse), per fondare una loro personale etichetta discografica, la Party Smasher Inc. appoggiandosi alla Season of Mist per quanto riguarda la distribuzione. In questi anni in cui le regole della diffusione e del mercato musicale si stavano rimescolando, sempre più band tentavano la via dell’autoproduzione o della campagna di crowfunding per potersi permettere maggiore indipendenza.

Benjamin Weinman, mastermind del gruppo, si è accollato l’onere della produzione assieme all’ingegnere del suono Steve Evetts. Il risultato ottenuto, come detto, è di altissimo livello. Smorzando e addomesticando le sferzate grindcore degli esordi, i Dillinger Escape Plan continuano a non volerne sapere di rendere la vita facile ai propri ascoltatori, e se ne escono con un prodotto tanto valido e variegato quanto ostico e criptico. Le trame ritmiche vengono tessute con equazioni iperboliche in cui vengono combinati elementi metal, hardcore, free-jazz, fusion, industrial, crossover, elettronica. Un gran bel casino trovarsi a dover glossare il garbuglio sonoro prodotto, d’altronde dai Dillinger Escape Plan non ci aspettiamo niente di meno.

Siamo di fronte a quello che è forse il loro lavoro più ispirato e autoriale (comunque è difficile dover indicare quale sia l’album migliore della loro lusinghevole carriera), ottimamente bilanciato fra furia e follia sonica e astrusa melodia di ispirazione pattoniana.

Il pezzo d’apertura "Farawell, Mona Lisa" lanciato come singolo, aveva anticipato l’imminente avvento dell’album, presentandosi come il tipico concentrato di riff vorticosi e poliritmie assemblate fra loro sparate a velocità oltre i limiti di legge, intermezzate da break dal sapore jazz.

Se cercate tempi pari e lineari, siete nel posto sbagliato. La sezione ritmica, guidata dalle due chitarre di Weinman e del turnista Jeff Tuttle (non accreditato ma che di fatto ha preso parte alle registrazioni) sorrette dalle quattro corde di Liam Wilson, è come sempre infallibilmente solida ed estremamente variopinta. Anche il nuovo arrivato dietro le pelli Billy Rymer si dimostra perfettamente a proprio agio.

Il cantante Greg Puciato, visibilmente maturato, ha raggiunto quello che è il suo culmine interpretativo, anche e soprattutto a livello di songwriter. Lo dimostra principalmente in un gioiello come "Widower", composizione che stilisticamente si avvicina a quelle bizzarre rivisitazioni jazzate da piano bar che piaceva tanto comporre a Mike Patton e ai Faith No More su lavori quali "Album of the Year" e "King for a Day…Fool for Lifetime". Come special guest troviamo il pianista Mike Garson, noto per aver passato una vita ad accompagnare David Bowie, oltre ad aver collaborato con Billy Corgan, Smashing Pumpkins, Trent Reznor e Nine Inch Nails.

Garson lo troviamo anche su "I Wouldn’t If You Didn’t", altro pezzo che denota una classe sopraffina. Troviamo Puciato e i suoi soci sugli scudi anche su "Gold Teeth on a Bum" e "Chinese Whispers", ottime nel bilanciare il lato più brutale del gruppo con un approccio di fondo squisitamente melodico.

La band alza il tiro con fucilate come "Good Neighbor", caratterizzata da complesse geometrie abbinate al groove dell’hardcore newyorkese. L’intero lavoro comunque non conosce momenti morti o cedimenti di sorta, con "Crystal Morning" e "Room full of Eyes" Puciato rende omaggio a "Symbolic" dei Death ("Crystal Mountain" e "1000 Eyes"), da lui indicato come uno dei suoi album preferiti.

Chiude in modo magistrale il lavoro l’eccezionale "Parasitic Twins", canzone che accantona l’abituale furia per mostrare sfaccettature avantgarde, progressive e ambient, a tratti quasi da soundtrack. In chiusura, troviamo pure un assolo dalla curiosa distorsione lo-fi dal gusto blues.

Beh, forse "Option Paralysis" è davvero il miglior lavoro dei Dillinger Escape Plan, o forse no, comunque sia è superfluo stilare un ranking di un gruppo simile. Certamente, si tratta di una tappa fondamentale nella loro discografia.

- Supergiovane

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