lunedì 23 marzo 2020

Alice Cooper: "Easy Action" (1970)

Nel marzo di cinquant'anni fa veniva pubblicato anche "Easy Action", secondo album degli Alice Cooper quando ancora erano un gruppo e non erano diventati il progetto solista del cantante Vincent Fournier. Album alla confluenza fra glam rock, influenze zappiane e psichedelia/progressive, è l'ultimo prima della definitiva svolta shock rock che li renderà protagonisti assoluti della scena rock americana.

(il disco completo qui: https://tinyurl.com/wdym8wz)


Gli Alice Cooper (Vincent 'Alice Cooper' Fournier, voce; Michael Bruce, chitarre & piano; Glen Buxton, chitarre; Dennis Dunaway, basso; Neal Smith, batteria) avevano pubblicato il loro brillante album d'esordio nel 1969, scoperti da un altro iconoclasta del rock'n'roll come Frank Zappa.

Per il seguito del loro primo lavoro, i cinque ragazzi si fanno più dissonanti, cercando di costruire una sorta di glam rock che sia melodico e atonale allo stesso tempo - il che sarà anche coraggioso, ma non è propriamente facile, né da realizzare né da ascoltare.

In "Easy Action" troviamo così un mare di idee, di ottime frasi melodiche e di riff interessanti, talvolta gettati alla rinfusa nella mischia, talvolta non ben sviluppati o amalgamati fra loro: questa è la sensazione dominante che perviene all'ascoltatore del disco una volta terminati i suoi 35 minuti secchi.

E' evidente che gli Alice Cooper (ricordiamo ancora che all'epoca era il nome della band e non solo del suo cantante solista) su questo LP stiano cercando una loro strada, ma lo è altrettanto che non l'abbiano ancora trovata.

La band è sicuramente troppo sporca e ruvida per essere inserita nel novero delle band alla Frank Zappa o alla Captain Beefheart cui pure in qualcosa somigliano, e allo stesso tempo sono lontane sia dall'hard rock inglese che dal garage rock più essenziale - non a caso dal prossimo disco, abbandonati gli spigoli atonali più audaci, si mostreranno come la miglior candidata a un percorso di glam rock, o proto-punk, del tutto americano.

Questo momento però è ancora di là da venire: nonostante la bella vena melodica, peraltro del tutto non scontata, di un brano pianistico come "Beautiful Flyaway", vi sono altri momenti in cui si passa troppo in fretta da un motivo a quello successivo (come nella conclusiva "Lay down and die, goodbye", che vorrebbe essere il culmine dell'album e invece risulta un po' raffazzonata, specie se si pensa a quello che contemporaneamente produceva, su terreni alquanto similari, un genio come Kevin Ayers in "Shooting at the Moon").

E' questa fretta di consumare i brani prima di averli sviluppati che appesantisce brani promettenti come "Below your means" e "Refrigerator Heaven", e influenza in negativo anche pezzi interessanti come "Shoe Salesman" e "Still No Air".

Sicuramente l'album rappresenta una occasione sprecata, ma è più importante che sia un momento di crescita personale; il disco rimane una curiosità per gli amanti di Alice Cooper che non hanno paura di sentirlo in un contesto decisamente inusuale (almeno a orecchie superficiali) rispetto alla sua produzione successiva.

- Prog Fox

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