venerdì 17 gennaio 2020

Explosions in the Sky: "How strange, innocence" (2000)

Vent'anni fa oggi usciva anche "How strange, innocence", album di debutto dei post rocker texani Explosions in the Sky, piccola perla da non perdere assolutamente per tutti gli amanti del genere.



(il disco completo si può trovare qui: https://tinyurl.com/tqchexc)


Quando arrivano sulle scene nel 1999 gli Explosions in the Sky, il post rock è ormai un genere affermato. Dopotutto i suoi inizi risalgono alla fine degli anni ottanta, in America con la conversione di gruppi new wave inglesi e hardcore americani al rock atmosferico (per i primi, ricordiamo i Talk Talk di "Spirit of Eden", 1988; per i secondi, gli Slint di "Spiderland", 1991), e il termine era in voga dal 1994 quando il critico Simon Reynolds recensì "Hex" dei Bark Psychosis. Il successo di pubblico e critica dei Mogwai aveva ampliato la diffusione del genere, che aveva già visto i debutti sulla lunga distanza di Tortoise (1994), Godspeed! You Black Emperor (1997) e Sigur Ros (1997).

Gli Explosions in the Sky, fondati in Texas dal batterista Chris Hrasky, dai chitarristi Munaf Rayani e Mark Smith e dal chitarrista-bassista Michael James, arrivano così ad aggiungere la propria voce a quella di un genere consolidato. Sebbene il loro successo presso il grande pubblico (grande relativamente alle dimensioni di un ambito di nicchia come il post rock, almeno) arriverà nel 2001 con "Those who tell the truth shall die", è nel gennaio del 2000 che incidono e pubblicano il loro disco d'esordio, "How strange, innocence", originariamente in sole 300 copie. In futuro, questo lavoro composto ed eseguito da quattro esordienti li imbarazzerà per parecchi anni, prima che i favori degli estimatori non li convinceranno a ripubblicarlo.

Nonostante le sonorità del gruppo fortemente debitrici del contributo dei Mogwai ("Glittering Blackness", con la sua alternanza fra pacatezza e abrasione, ne è forse l'esempio più chiaro), l'imbarazzo è incomprensibile: le sette tracce di "How strange, innocence", infatti, sono segnate da un incedere malinconico e maestoso nel quale si ritrova la personalità propria del gruppo, meditabondo e struggente, profondamente invernale nonostante la provenienza texana degli Explosions.

Tra i punti di forza del disco c'è l'esordio pacato di "A song for our fathers", a cui si contrappone il crescendo finale di "Snow and Lights". Assolutamente riconoscibile fra le influenze anche quella delle chitarre dei Television e del loro "Marquee Moon" (1977), basti sentire l'incrocio fra arpeggi e accordi che domina "Look into the air". In "Magic Hours" spiccano le qualità del batterista Hrasky, che beneficiano anche del suono davvero grezzo e naturale, della mancanza di artificio della produzione. Come per il migliore post rock, si tratta di musica totalmente strumentale che sa restare sullo sfondo (secondo la definizione di ambient music coniata da Brian Eno) ma che se ascoltata con attenzione disvela mondi fantastici, come un panorama artico solo apparentemente uniforme e desolato.

A impressionare sono soprattutto i due brani finali, la lunga "Time Stops" (con la sua infinita introduzione da pelle d'oca) e la conclusiva "Remember me as a time of day", che confermano il fatto di trovarsi davanti a una band già matura tecnicamente e compositivamente, e destinata se non a rivoluzionare il mondo del post rock, a esserne comunque protagonista decennale.

- Prog Fox

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