martedì 14 gennaio 2020

Rush: "Permanent Waves" (1980)

A una settimana esatta dalla scomparsa di Neil Peart, e a tre giorni dall'annuncio mondiale dato dai Rush, siamo qui a celebrare il quarantennale della pubblicazione di "Permanent Waves", uno dei più bei dischi realizzati dal trio di power prog canadese.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_ni_iBIlUXtu3OLJGynmGpCzNsqQ05BPxM)


I Rush avevano pubblicato una serie di dischi fenomenali partendo con "2112", loro quarto lavoro del 1976, proseguendo con "A farewell to kings" (forse il loro capolavoro assoluto, 1977) e poi "Hemispheres" (il secondo disco preferito da chi scrive, 1978).

Giunti al settimo album in studio, "Permanent Waves", i tre ragazzi canadesi (Geddy Lee, basso, tastiere e voce; Alex Lifeson, chitarre; Neil Peart, batteria) si confermano in uno stadio di forma superbo, capaci sia di esaltare i fan dei precedenti lavori quanto di rinnovare la formula che li vede protagonisti, quella di un robusto progressive rock di cui rimangono fra i pochi ultimi interpreti sinceri giunti ormai nel nuovo decennio.

Se "Hemispheres" aveva, come "2112", basato la propria essenza su una suite che occupava un'intera facciata di un LP, "Permanent Waves" si rifa più a "A farewell to kings", immergendoci nella forma canzone. Per quanto non manchino da un lato le usuali scorribande dilatate, il ruolo della tastiera come accompagnamento si fa più moderno senza sacrificare nulla in termine di sonorità naturali.

Così l'album si sviluppa, brano dopo brano, senza esclusione di colpi da novanta: "The Spirit of Radio" e "Freewill" sono due canzoni esuberanti, esplosive, favolose, in cui è possibile trovare affinità con un altro gruppo di veterani convertitosi alla new wave come i Police.

La splendida ballata "Entre nous" apre la seconda facciata col botto, toccando il cuore dell'ascoltatore con una emozione che non sentivamo dai tempi di "Madrigal" (da "A farewell to kings", 1977). Segue la pensosa "Different Strings", l'unico pezzo del disco dall'atmosfera meditabonda e introspettiva.

"Jacob's Ladder", che chiude il lato A e vede il chitarrista Alex Lifeson sugli scudi, e "Natural Science", capolavoro ipertrofico che conclude il lato B e l'album tutto, rappresentano invece i due momenti più tradizionalmente progressive del disco.

"Permanent Waves" è l'album di passaggio dagli anni settanta agli anni ottanta dei Rush, LP in cui sanno cogliere il meglio del mondo progressive che si stanno lasciando alle spalle e quello synth rock che stanno per abbracciare.

Sorprendono l'energia, la chiarezza d'intenti, la determinazione che emergono da ogni brano, anche grazie ai testi del batterista Neil Peart, che rifuggono non solo dall'autocommiserazione e dal fascino per l'alienazione tipiche di tanto prog ma anche dall'escapismo fantastico tipicamente prog che dominava i loro stessi tre album precedenti.

"Moving Pictures", il disco successivo, manterrà ancora un prodigioso equilibrio compositivo: se per allora i Rush saranno giunti anche sonicamente negli anni ottanta, l'età dell'oro del gruppo non sarà ancora terminata.

- Prog Fox

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