sabato 14 dicembre 2019

Van der Graaf Generator: "The least we can do is wave to each other" (1969)

Tra l'11 e il 14 dicembre di cinquant'anni fa viene inciso "The least we can do is wave to each other", secondo album dei britannici Van der Graaf Generator, maestri del progressive rock degli anni settanta.
L'album è uno dei primissimi a essere pienamente compreso nel prog moderno e compiuto, uno dei primissimi a essere influenzato da "In the court of the crimson king", inciso dai King Crimson ad agosto e uscito appena due mesi prima.


(il disco completo con due tracce bonus si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/vu2xvpv)
Dopo l'esordio immaturo di "The Aerosol Grey Machine", i Van der Graaf Generator avevano bisogno di qualcosa che li aiutasse a mettere a fuoco le buone intuizioni che pure emergevano da quel disco acerbo. Quel qualcosa fu "In the court of the crimson king", uno dei dischi più rivoluzionari della storia del rock, che a partire dalle già notevoli opere di Procol Harum e Nice seppe alzare il livello del rock romantico liberandolo del tutto dalla psichedelia e facendolo assurgere a un subgenere proprio, ovvero il progressive rock.

"The least we can do is wave to each other" diviene così uno dei primi classici della corrente romantica del rock progressivo. Cupissimo, dark, quasi gotico nelle liriche degne di una poesia di Poe o di un racconto di Bloch, l'album vede anche influenze dei momenti più cosmici dei Pink Floyd, ma invece che dalle chitarre è dominato dal sax coltraniano di Jackson e dalla verbosità apocalittica del poeta-cantante Hammill, cantante straordinario che si ispira anche alla vocalità sperimentale di Tim Buckley.

Il disco è diviso fra rock marziale, solenne e oscuro, e ballate malinconiche, pensose e struggenti. Al primo gruppo di brani appartengono capolavori come "Darkness (11/11)", la tambureggiante traccia che apre l'album, condotta dal sax ossessivo di Jackson e dalla minacciosa voce acuta di Hammill, e come la conclusiva epica di "After the flood", dall'incedere lento, maestoso ed opprimente nella sua descrizione del diluvio universale. Notevole l'uso abrasivo e violento del sax di David Jackson sia nel finale di "Darkness" che in quello allucinato di "White Hammer", in cui Hammill racconta la cupa storia della caccia alle streghe. "Whatever would Robert have said" è un altro esempio della tendenza del gruppo a privilegiare la coralità negli arrangiamenti e nel missaggio, pur riuscendo allo stesso tempo ad essere buona vetrina per la chitarra elettrica di Potter.

Nelle ballate "Refugees" e "Out of my book", Hammill usa il suo falsetto più delicato mentre David Jackson passa dal sax al flauto per colorarne le trame: sono due dei pezzi migliori del disco, con "Refugees" che vede Potter aprire con una splendida partitura di basso melodico, Banton arrangiare un violoncello discreto ed Evans punteggiarne i crescendo con le sue percussioni creative.

Primo grande album di una delle più grandi band di progressive rock britannico, "The least we can do is wave to each other" è ottimale punto di partenza per scoprirli e conoscerli.

- Prog Fox

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