sabato 14 dicembre 2019

Clash: "London Calling" (1979)

Esce il 14 dicembre di quarant'anni fa uno dei dischi fondamentali del punk e del rock, "London Calling" dei The Clash, doppio LP che ha fatto la storia del punk impegnato, di sinistra, contaminato di ska, jazz, reggae, rockabilly, pop, per una serie di canzoni pazzesche una dietro l'altra, si parla di consumismo, guerra civile spagnola, inverno nucleare, per sentirsi più vicini e resistere alla Thatcher.
Forse massimo capolavoro della carriera, forse massimo capolavoro dell'originale movimento punk britannico. La foto di copertina di Paul Simonon che spacca il basso sulla grafica del disco d'esordio di Elvis Presley è una delle più iconiche e conosciute della storia del rock.

Il disco intero si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/vzxc2l2


Questo povero redattore non sa cosa fare, con questa recensione. Egli teme infatti che non esista una maniera non noiosa di affrontare l’album qui trattato, il crostino nel brodo primordiale del punk d’Oltremanica, un disco capace di segnare una generazione di musicisti e di continuare ad essere, ancora oggi, un disco dalla freschezza furiosa ed incontenibile, come una folata di vento umido nel dicembre inglese. Cosa dire di nuovo? La tentazione di lasciar perdere è alta, ma la cupola di “C’era una volta il rock” ha già tenuto fede una volta alle minacce di bucarmi le ruote della macchina se non consegno le recensioni che prometto, pertanto eccoci qua: “London Calling” è il disco che valse la consacrazione dei Clash, la formazione guidata da Mick Jones e Joe Strummer, senza dubbio e di gran lunga la più creativa espressione del punk inglese.

Dopo i primi due album, classicamente punk e di buon successo, il quartetto (completato da Paul Simonon alla bassa e da “Topper” Headon alla batteria) si approccia alla fine del decennio pronto a cambiare marcia ed attitudine. I Sex Pistols sono già sciolti, Sid Vicious morto appena più che teenager. La wave punk ha riversato la sua furia sull’UK e sta già lasciando spazio alla risacca, spaccando il fronte delle nuove leve tra gli oltranzisti dell’anarco-punk con focus sulla critica sociale, quali gli Exploited, e le tentazioni art-rock di band come gli Ultravox (per tacere del neo-glam dei Japan, o dei primi embrioni di synth-pop).

Ai Clash, né l’una né l’altra via interessano particolarmente, perché se da un lato hanno voglia di sperimentare con la musica, senza che la comunque presente critica sociale si metta di traverso, dall’altro vogliono tenere fede alla vocazione di gruppo militante, estraneo ad ogni compromesso con la pretenziosità.

La via scelta da Jones & Strummer non può che essere l’ulteriore apertura della band alla contaminazione, il meticciato: da un lato prende sempre più vigore l’innesto di sonorità reggae e ska nel solido ceppo punk del quartetto, generando un meltin’pot di musiche popolari tanto distanti quanto accomunate da radici culturali condivise; dall’altro, il recupero e la rivalutazione del rock d’antan, a partire da Elvis (citato già nella copertina, omaggio al primo disco del padre del genere), portando alla nascita del punk-rock come (sotto)genere vero e proprio, e contribuendo in maniera decisiva alle successive evoluzioni del rock.

Nel perseguire questo obiettivo saranno accusati di tradimento (per l’abbandono dei suoni punk “puri”, ma anche per il contratto major), ma guadagneranno per sempre una posizione di vantaggio rispetto a tutti i coevi, almeno nella nicchia, per essere riusciti a rompere anche le poche regole rimaste dopo l’uragano punk che avevano contribuito a scatenare. Un raro caso di rivoluzione permanente, sarebbe il caso di dire.

Le canzoni sono diciannove e non staremo qui a fare la lista della lavanderia, perché se volete sapere come sono le canzoni di “London Calling” ve lo andate a sentire, grazie (e se già le conoscete dovete spiegarmi che cosa cazzo ci fate qui a leggere la recensione di un disco che già sapete che è bello). Ci sono le canzoni più rabbiose o meno serie, tipo la title track, la scemissima “Spanish Bombs”, lo ska di “Wrong’em boyo”, il rockwave di “Death or Glory”, il rock fuori dal tempo della splendida “I’m not down”, e ci sono quelle più intime e tranquille, tipo la divertente “Jimmy Jazz” e la fondamentale “Lost in the supermarket” che potrebbe essere tranquillamente una canzone dei Pulp (e quella canzone sarebbe “Disco2000”).

Nelle canzoni fanno capolino gli ottoni (“Jimmy Jazz”), pianoforti (“The Card Cheat”), e il reggae, come noto, gioca un ruolo non secondario. E se è vero che i due chitarristi sono la principale riserva di talento della band, non si può negare agli altri due membri un’importanza capitale: non solo Paul Simonon scrive e canta “The Guns of Brixton”, ma è anche il principale responsabile dell’ampliamento degli orizzonti musicali della band; Headon, dal canto suo, con la sua tecnica superiore funge da fondamenta per le sperimentazioni del duo al comando, che senza una base ritmica solida sarebbero state in larga parte impossibili. Un momento per riflettere circa il fatto che anche se sei un lurido punk che se ne fotte dell’autorità e dell’ordine costitutito, avere una vaga idea di cosa stai facendo aiuta.

- Spartaco Ughi

Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...