(disco completo qui: https://www.youtube.com/
Tanti sono i gruppi sconosciuti e gli album dimenticati nel tempo, e più che ricordare e celebrare i grandi classici a noi piace sempre maggiormente aprire lo scrigno dei segreti del rock'n'roll e mostrare quanto ne sia vasta la portata.
Gli Earth Opera sono ormai quasi del tutto dimenticati, ed è davvero un peccato; al massimo qualcuno li ricorda per essere stati il trampolino di lancio di due musicisti di culto della musica acustica americana, il cantante-chitarrista Peter Rowan e il mandolinista e polistrumentista David Grisman. Ma ciò è profondamente ingiusto, sia nei confronti dei loro compagni di avventura John Nagy (basso, violoncello) e Paul Dillon (chitarra acustica, voce, batteria), sia nei confronti di questo splendido album di rock dalle influenze roots, country, bluegrass, psichedeliche e jazz, un disco coinvolgente, proteiforme, espanso, esteso, multiforme, che farà la felicità dei fan dei Grateful Dead, pur presentando sufficiente originalità da non suonare in alcun modo come una copia o una imitazione del grande gruppo di San Francisco.
Per compensare l'abbandono del tastierista Bill Stevenson, la cui presenza aveva dominato il suono del disco d'esordio "Earth Opera" l'anno precedente, i quattro compagni assumono come solisti aggiuntivi un piccolo gruppo di eccellenti ospiti che danno il loro meglio quando sono chiamati in causa, e che comprende il grande John Cale alla viola, i sassofonisti Richard Grando e Jack Bonus, Dave Horowitz a piano e organo, e Bill Keith alla pedal steel guitar. Inoltre, come per il primo album, richiamano Billy Mundi, ex-batterista di Zappa, per liberare quando necessario Dillon dai compiti percussivi.
Il lato A del disco è pressoché perfetto: "Home to you" apre le danze con una agrodolce, sorridente ballata semiacustica dal buon andamento ritmato; "Mad Lydia's Waltz" ci precipita verso il melodramma; "Alfie Finney", scritta e interpretata da Dillon, suona bizzarramente country jazz; "Sanctuary from the Law" è l'angoscioso ululato di un fuorilegge braccato, interpretato con rabbia e terrore da uno strepitoso Rowan; "All winter long" è una canzone bucolica che si caratterizza per notevoli soli di sax e flauto.
Sul lato B incontriamo invece subito "The American Eagle Tragedy", magnum opus dell'album e del gruppo tutto: dieci minuti di angoscia esistenziale, folk romantico con flauti e chitarre acustiche che fa concorrenza senza timore a certe atmosfere coeve di King Crimson, Jethro Tull e Van der Graaf Generator, su cui ancora una volta il canto di Rowan e la batteria incalzante sanno alzare il livello del pathos e del dramma. L'alternanza fra il folk rock medievaleggiante e le sezioni quasi hard rock riflette il parallelo tracciato dal gruppo fra una assurda guerra di un signore medievale e la contemporanea guerra del Vietnam che sta facendo morire 'la grande aquila americana' ("The king is in the counting house, laughing and stumbling; His armies are extending way beyond the shore, as he sends our lovely boys to die in a foreign jungle war"). Il risultato, con il finale dal crescendo strumentale pazzesco, tappeto sonoro perfetto per le urla disperate di quel cantante superbo che è Peter Rowan, fa veramente venire i brividi.
Dopo questo capolavoro, il blues'n'roll colorato di organo psichedelico di "Roast Beef Love" appare quasi inconsistente, ma in realtà ci aiuta a non deprimerci eccessivamente prima della fine del disco, che arriva con il blues rock struggente di "It's love", illuminato da un bell'assolo di chitarra di Rowan.
Quindi: nell'album non c'è una canzone debole, c'è almeno un capolavoro dell'era hippie, c'è una band fenomenale accompagnata occasionalmente da solisti strepitosi.
Insomma, se siete fan dei Grateful Dead, dei Byrds o della Band, ma non disprezzate neppure il progressive delle origini e l'hard rock creativo canadese-americano di Steppenwolf e Guess Who, troverete davvero dell'ottimo pane per i vostri denti.
- Prog Fox
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