martedì 19 novembre 2019

Neil Ardley, Ian Carr & Don Rendell: "Greek Variations & other Aegean exercises" (1969)

Il 19 novembre di cinquant'anni fa venivano completate le incisioni di "Greek Variations & Other Aegean Exercises", disco collaborativo di british jazz scritto, suonato e curato dal compositore Neil Ardley, dal trombettista Ian Carr e dal sassofonista Don Rendell. Un vero e proprio capolavoro pensato e programmato da tre delle più brillanti teste pensanti del jazz progressivo britannico.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=Ym3mNUbvom0)

Nella florida stagione del jazz rock britannico a cavallo del 1970 si inserisce una delle sue opere più interessanti e creative, figlia di tre personaggi fondamentali di quest'epoca: il compositore e direttore d'orchestra Neil Ardley, il trombettista Ian Carr e il sassofonista tenore & soprano Don Rendell.

Il lavoro si compone di tre parti: sul lato A compare la suite "Greek Variations", scritta da Neil Ardley e nella quale compaiono tutti e tre gli artisti. Il lato B è invece diviso a metà fra brani del gruppo di Ian Carr e brani del gruppo di Don Rendell. Il tutto assicura un mix di varietà e compattezza del disco, che non ha nemmeno un momento di noia - sebbene la suite centrale ne rappresenti la vetta.

Neil Ardley, oltre a comporre e dirigere gli archi, ha con sé Barbara Thomson a flauto, sax soprano e contratlo, Karl Jenkins a oboe, sax soprano e baritono, Michael Gibbs al trombone, Frank Ricotti alla batteria, al vibrafono e alle marimba, Jack Bruce al basso e Jeff Clyne al contrabbasso; per i suoi brani, Ian Carr (che suona anche il flicorno) si porta dietro, oltre a Jeff Clyne, il batterista John Marshall, il sassofonista Brian Smith (tenore e contralto), Chris Spedding alla chitarra elettrica; infine Don Rendell (che suona anche il flauto) ha con sé Neville Whitehead al basso, Trevor Tomkins alla batteria e Stan Robinson al sax tenore. Come vedete, un mix eterogeneo di musicisti provenienti dal blues e dal jazz inglese, molti dei quali che sono passati o passeranno dal rock e dal progressive, in particolare nella cosiddetta Scuola di Canterbury (in primis Soft Machine, di cui faranno parte Marshall e Jenkins).

Una introduzione in perfetto stile greco-mediterraneo ci pone già al centro di questo evocativo viaggio immaginario, melodicamente ispirato alla musica classica europea e alla tradizione mediterranea, che poi esplode attorno al quarto minuto in una fantasia jazz rock il cui più vicino analogo pare essere la "Valentyne Suite" dei Colosseum, realizzata pochi mesi prima. Magari il solo di flauto di Rendell che apre la fase al decimo minuto evoca più la bossa nova che non la musica greca, ma non stiamo a sottilizzare: la quantità e la qualità dei temi che si alternano è incredibile, e la suite, che si conclude con una scatenata danza collettiva e una ripresa del tema iniziale, è certamente da annoverare fra i capolavori assoluti del british jazz di sempre.

Il gruppo di Ian Carr e quello di Don Rendell (che si erano separati dopo parecchi anni di lavoro insieme) hanno invece a disposizione una dozzina di minuti ciascuno sul lato B, che usano con profitto ma senza raggiungere i picchi dell'opera di Ardley.

Il trombettista Ian Carr, con una formazione che di fatto diverrà quella dei Nucleus a partire dal 1970, scrive: "Wine Dark Lullaby", un lento jazz blues che rimanda al Miles Davis più ambient dei primi anni sessanta, ma che si caratterizza per originali scambi fra il sax di Brian Smith e Carr stesso; "Orpheus", un breve interludio meditabondo; e "Persephone's Jive", frenetico jazz rock che di fatto introduce le sonorità che di lì a poco il gruppo costruirà prendendo il nome di Nucelus nei primi anni settanta.

Il sassofonista Don Rendell, invece, sceglie di raccontare per immagini una sequenza tratta dall'Odissea. Passa dal jazz di atmosfera di "Farewell Penelope" a "Siren's Song", brano che sembra rubato dalla colonna sonora di un peplum, attraverso lo swing scatenato di "Odysseus, King of Ithaca". Tocca a Rendell anche concludere l'album con "Veil of Ino", che racconta come la divinità marina soccorra Ulisse naufrago con un velo magico. Conoscendo il retroscena è quasi possibile ammirarne lo svolgimento dalla musica fortemente evocativa.

Ardito jazz orchestrale ispirato alla mitologia greca, musica fortemente immaginifica che crea una grandiosa atmosfera epica, "Greek variations & other Aegean Exercises" è un bellissimo esempio di incontro fra tradizione musicale britannica e mediterranea benedetto dal jazz. Non è un caso che nasca nella patria di Byron e Keats, grandi amanti della Grecia e della tradizione classica. L'album rientra di diritto fra le principali influenze della giovanissima Scuola di Canterbury (Caravan e Soft Machine su tutti) e di artisti progressive rock come Robert Fripp e i King Crimson (vedi "Lizard", "Islands" e "Lark's Tongues in Aspic").

- Prog Fox

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