sabato 2 novembre 2019

Foo Fighters: "There is nothing left to lose" (1999)

Usciva vent'anni fa oggi "There is nothing left to lose", terzo album dei Foo Fighters e disco della loro consacrazione commerciale, anche grazie agli spassosissimi video della formazione americana.



(per sentire il disco completo andare qui: https://tinyurl.com/y25b5egx)



Abbiamo il piacere di ascoltare "There is Nothing Left to Lose", terzo album da studio di Dave Grohl e dei suoi Foo Fighters.

Non era facile bissare il successo del precedente "The Colour and the Shape", quel tipo di album con cui dovrai confrontarti per il resto della tua carriera, i Foo Fighters ci provano, o meglio, sfruttano la spinta propulsiva in progressiva ascesa di cui godevano al tempo. Ma l’ispirazione del nostro prode Dave è palesemente in calo, e preferisce buttarla sulla stesura di brani molto più semplici e diretti, dai toni affabili e dalle melodie orecchiabili, un gradevole rock moderno da cazzeggio o da sottofondo.

Effettivamente, con questo album, i Foo Figthers daranno vita a una nuova generazione di rock molto easy listening, scanzonato e senza troppe pretese, a cui sulla scia si uniranno i Tenacious D e tanti altri gruppi senza infamia e senza lode che ci rimangono indifferenti (e altri che invece ci stanno sul cazzo). Non chiamatelo nemmeno post grunge, le reminiscenze del sound di Seattle sono completamente evaporate.

Tuttavia, anche stavolta Grohl ne uscì vincitore, il disco fu molto apprezzato dal grande pubblico e proiettò il suo gruppo in vetta alle charts. Ad anticipare l’album fu il singolo "Learn to Fly", canzoncina di facile presa estremamente orecchiabile e molto pop-eggiante, che ricordiamo anche per lo spassoso videoclip che fu girato. Abbiamo nominato i Tenacius D, e non a caso nel video appaiono Jack Black (all’epoca non particolarmente noto) e il suo socio Kyle Gass nelle vesti di attori assieme alla band e al poliedrico trasformista Dave Grohl, protagonista indiscusso. Le sue doti attoriali di commediante e di uomo di spettacolo hanno contribuito notevolmente a fare dei Foo Fighters e di lui un’icona musicale moderna, ancor di più che delle sue (sottovalutate) doti di musicista e compositore. Del resto, chi cazzo si ricorda che ha suonato come ospite nei Queen of the Stone Age o che mise su il suo progetto sperimentale alternativo Probot?

Un altro pezzo su cui il gruppo puntò molto fu "Breakout", resa famosa anche perché facente parte della colonna sonora di una american comedy dell’epoca, "Me Myself and Irene" (con Jim Carrey), sempre contraddistinta da un burlesco Grohl protagonista del videoclip.

"Generator", secondo singolo (e titletrack occulta) dell’album, va a ripristinare parzialmente sonorità e stile compositivo dei lavori precedenti (in particolare, seguendo le linee guida adottate per pezzi come "Everlong") , lavando il tutto all’acqua di rose, e ricorrendo all’utilizzo di un talkbox alla Richie Sambora per modellare il riff introduttivo e finale (Grohl però dichiarò di voler tributare i più misconosciuti musicisti Joe Walsh e Peter Frampton - misconosciuti per i giovani degli anni '90, non per quelli degli anni '70, come Homer Simpson nella famosa puntata su Lollapalooza, NdR). Siamo sul livello “benino”.

Decisamente meglio allora l’opener "Stacked Actors", l’unico pezzo presente coerente con il recente passato del gruppo, forte anche di una flessione pattoniana alla Faith No More. "Headwires" chiama in causa invece Corgan e i suoi Smashing Pumpkins. "Next Year" fu l’ultimo singolo estratto, mid tempo molto facilone e ruffiano, che segue le orme di "Big Me", molto lontana dal poter essere considerata qualcosa di memorabile.

Più gradevoli gli altri due “lenti” che chiudono l’album, "Ain’t It the Life" (dal mood che fa molto anni sessanta) e soprattutto "M.I.A.", pezzo che si lascia ascoltare volentieri. Per il resto, comincia la sgradevole tradizione dei Foo Fighters, sempre proseguita in futuro, di infarcire ogni loro album con vari filler.

Se volessimo stilare un ranking, a dispetto del successo commerciale di "There is Nothing Left to Lose" e dei vari Grammy e MTV awards vinti, diremmo che fino a "Wasting Light" incluso questo rimane il loro lavoro più debole. Orecchiabile si, ma niente affatto longevo. Rock poco alternativo, molto canonico, molto mainstream. Rock, abbiamo detto, non provate qui a tirar fuori la parola grunge.

- Supergiovane

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