sabato 2 novembre 2019

Creedence Clearwater Revival: "Willy and the poor boys" (1969)

Il 2 novembre di cinquant'anni fa vedeva la luce "Willy and the poor boys", quarto album dei Creedence Clearwater Revival, loro terzo disco pubblicato nel corso del 1969 ed ennesimo segno di maturazione di una band che sembrava essere in grado di crescere e migliorarsi all'infinito.



(disco completo con tracce bonus qui: https://tinyurl.com/y6hcqzv7)

I membri dei Creedence che non sono John Fogerty ricordano con vaghi segni di trauma il loro 1969: non solo in quell’anno saranno tre i dischi prodotti e pubblicati dal quartetto americano, con ritmi lavorativi folli dettati dalla sfrenata ambizione del chitarrista cantante, ma ci sarà anche un tour estenuante su tutto il territorio americano, inclusa una serata da headliners a Woodstock. Quest’ultima non fu inclusa nel film della kermesse, perchè Fogerty riteneva la performance della band 'non all’altezza', con il paradossale risultato di non essere ricordati nonostante fossero una delle band di maggior grido presenti su quel palco leggendario… ma questa è un’altra storia.

“Willy and the Poor Boys” è il terzo album realizzato da Fogerty e soci nel 1969, e resta tra i migliori della loro discografia. La formula è la solita: un paio di cover di classici blues e folk, in questo caso “Cotton Fields” e “Midnight Special”, rispettivamente scritta e portata al successo dal bluesman Lead Belly, e due singoloni eccezionali, “Down on the Corner” e “Fortunate Son”, ad aprire i due lati del disco.

Ad impreziosire ed elevare l'album ci sono le altre tracce, finalmente tutte di livello: “It came out of the sky” è un rock indiavolato, il cui testo satireggia su di un uomo che trova un UFO nel suo campo e finisce per metterlo in vendita per 17 milioni, con grande sconcerto del Papa; “Poorboy Shuffle/Feelin’ blue” è una classica jam blues, il cui minutaggio relativamente ridotto rende giustizia alle ottime doti strumentali del quartetto, senza venire a noia come successo in dischi precedenti; “Don’t look now” è un folk acustico quintessenzialmente CCR, quindi ottimo. Ma è con la chiusa “Effigy” che ci rendiamo conto di quale salto di qualità Fogerty abbia compiuto con la sua creatura: introdotta dallo strumentale “Side o’ the road”, “Effigy” è un blues-rock incendiario tanto nel testo, apocalittica rappresentazione della rabbia del cantante contro Richard Nixon, quanto soprattutto nei suoni, talmente densi e saturi da essere praticamente adiacenti ai blues-grunge dei Mad Season.

Angosciante e furiosa, “Effigy” non è il miglior brano del disco solo perchè quel posto è occupato di diritto da “Fortunate Son”, incalzante cavalcata impregnata di sarcasmo: per il gossip attorno al matrimonio di due figli dell’aristocrazia repubblicana americana (un Eisenhower e una Nixon) e, di riflesso, per la situazione dei figli “proletari” dell’America dell’epoca, destinati alla guerra in Vietnam. “Fortunate Son” è un brano leggendario fosse anche solo per il suo ritmo, l’incedere proto-punk che accompagna la rabbia di Fogerty e che, se stortato appena un po’, potrebbe quasi far pensare ai primissimi Talking Heads; grazie alla voce di Fogerty, tuttavia, si tratta “solo” di uno dei momenti migliori della straordinaria discografia della band.

Per quanto il recupero del passato sia tanto importante da essere parte della loro stessa ragione sociale, i Creedence Clearwater Revival hanno rappresentato uno dei ceppi più puri del rock americano, pronto ad essere innestato in tutte le declinazioni future del genere. Se non ci credete, ascoltate “Willy and the Poor Boys”.

- Spartaco Ughi

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