giovedì 28 novembre 2019

Bluvertigo: "Zero" (1999)

Nel novembre di vent'anni fa veniva pubblicato "Zero", terzo album della 'trilogia chimica' dei nostrani Bluvertigo, disco che anticipava mirabilmente tendenze degli anni zero e che ascoltato oggi ci ricorda ancora con stupore e tristezza di quanto fossero grandi gli anni novanta della musica rock italiana. Merita davvero di essere riascoltato oggi.



(disco completo disponibile qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_m-iHWMnGTW_ZJutU0-7I1L-aOQ5u7AJUE)
Il post-moderno, nel 2019, ci ha rotto i coglioni. Bello, oh quanto è intelligente, piace a chi piace, però è un additivo ormai abusato, il cui sapore ci disgusta un po’ quando addentiamo un nuovo prodotto culturale di nostra scelta.

Forse è prematuro invocare la fine della storia, ma di certo si può parlare di “fine del rock”, se la carica innovativa di esso si è ridotta ad ondate retrò che dall’inizio del millennio ci hanno ri-propinato pantaloni a zampa d’elefante prima, intere discografie di neo-post-synth-wave dopo, dove per dopo si intende fino a giovedì prossimo come minimo.

Il tempo in cui il riciclaggio e il riassemblaggio di vecchi tropi rockettari era un esercizio coraggioso e pionieristico è passato da tempo, ma ecco un’occasione perfetta per parlare di una band che ne ha rappresentato uno dei pinnacoli, non solo a livello italiano ma internazionale. La chiusura della Trilogia Chimica dei Bluvertigo, lo “Zero” che sta nel titolo di questa recensione, è un esemplare di rock-postmoderno di livello eccelso, il lavoro sublime ed irripetibile di una band eccezionale in stato di grazia.

Nel calderone di Morgan (voce, basso, tastiere), Andy (synth, sax, seconda voce) Sergio (batteria) e Livio (chitarre) ci sono tutte le grandi passioni del quartetto brianzolo: l’influenza dei Depeche Mode è evidente in “Sovrappensiero”, quella di Bowie omaggiata con la cover della berlinese “Always Crashing in the Same Car” e con il glam-rock di “Finché saprai spiegarti”, lo spirito di Robert Fripp nella versione più cremisi si impossessa di Livio Magnini nelle chitarre di “Sono=sono”, e nel finale fanno addirittura capolino i Pink Floyd.

Accanto a tutto ciò c’è una certa attenzione per le tendenze in voga in quegli anni, in particolare i rumori tipici dell’industrial rock di stampo Reznor in “Zero” e “Lo psicopatico”, assieme agli Eno-ismi di “Porno Muzik” e “Sax Interlude”.

I brani migliori del lotto sono però quelli più difficili da inquadrare per le loro influenze: la mescola rock di “Autofraintendimento” non si era mai sentita in Italia, con le sue sonorità arabeggianti solidamente appoggiate su delle fondamenta elettro-rock di magnifica fattura; “Niente X Scontato” è funk-pop psichedelico con ambizioni rappuse, con un fantastico stacco di sax che da solo varrebbe un album; le sperimentazioni di “Forse” e “Numero” sono sgraziate, volutamente grottesche, e se non sono un ascolto piacevole di certo danno da pensare; “La crisi” è un capolavoro del pop di marca Morgan, e non c’è altro da aggiungere perchè è un singolo e suppongo l’abbiate anche sentita almeno una volta; “Punto di non arrivo”, infine, è il brano di maggiore atmosfera ed impatto epico mai scritto dal multistrumentista monezese, spaziale e cinematico, con Magnini travestito da David Gilmour (o da Steven Wilson?) giusto per la ventina di secondi necessari a lasciare un segno.

Musicalmente non c’è proprio niente da dire, “Zero” è un lavoro che non sfigurerebbe in una lista dei cento album più importanti degli anni ’90 A LIVELLO MONDIALE, per la qualità di scrittura ed esecuzione, oltreché per aver anticipato (e surclassato) il revival wave prima ancora che qualcuno cominciasse a pensarci sul serio (eccetto i Blur di “Boys and Girls”, ma Damon Albarn gioca un altro sport, lo sappiamo).

Quello che eleva “Zero” sopra il resto della pur eccellente Trilogia Chimica, tuttavia, è la componente lirica delle canzoni. Con la trascurabile eccezione de “Lo psicopatico”, il cui testo è piuttosto dimenticabile (se paragonato agli altri?), le parole di quest’album sono a tratti illuminanti e sempre divertentissime, intrise di ironia (“Niente X Scontato”), auto-ironia (“Autofraintendimento”), vera malinconia (“Forse”, “La crisi”), e riflessioni talvolta luminose (“La comprensione”) e, al peggio, un po’ onanistiche ma comunque dense di spunti (“Sovrappensiero”, “Zero”).

Il trittico dei Bluvertigo unisce gli opposti, gli acidi e le basi, i metalli e i non-metalli, in un matrimonio alchemico che sigilla il decennio più brillante del rock italiano con un capolavoro lungo (16 brani, un’ora buona) e profondo, ricco e vario, impreziosito dalla presenza di ospiti del calibro di Mauro Pagani e Franco Battiato, da arrangiamenti ancora freschi dopo venti, stupidissimi, anni di musica pop, ed il finale “Punto di non arrivo” che si domanda quanto rimanga di inesplorato, tanto nel rock quanto vita personale di ognuno di noi, nelle 'strade che non prendemmo'.

Il fantasma di Morgan si aggira ancora a Milano e dintorni, un’anima in pena che forse davvero non è mai riuscita ad arrivare dove voleva. Ma che noi ringraziamo per un sacco di cose, in primis questo “Zero”.

- Spartaco Ughi

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