venerdì 18 ottobre 2019

Opeth: "Still Life" (1999)

Vent'anni fa oggi usciva "Still Life", quarto album degli svedesi Opeth e disco della loro completa e definitiva maturità artistica nell'ambito del lungo percorso che li ha visti legare death metal e progressive metal.



(disco completo disponibile qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lzS6aMbbwuN1hIhrwf9npFIzLrprkiV_4)



18 ottobre 1999, è il giorno designato per l’uscita di "Still Life" degli Opeth, loro quarto album da studio.

Dopo tre album acclamati dalla critica, rispettivamente "Orchid", "Morningrise" e "My Arms,Your Hearse", il quartetto svedese (all’epoca non avevano un tastierista ufficiale) archivia l’esperienza con la storica label Candlelight Records (non senza polemiche), sottoscrive un contratto nuovo di zecca con la Peaceville, e firma quello è il suo album migliore assieme al seguente "Blackwater Park". Un capolavoro indiscusso della scena prog metal, di un’ineguagliabile classe e profondità.

Spesso etichettati come gruppo death metal, ci preme fare delle precisazioni: gli Opeth non sono un gruppo death, suonano prog. La componente death (di retaggio esclusivamente scandinavo) è certamente segnata dal formidabile growl profondo e lacerante del leader Mikael Åkelfedt, dai riff distorti e da quell’indole melodica struggente tipica del movimento swedish di Goteborg degli anni 90, in realtà più vicino a gruppi come Edge of Sanity o ai primissimi Katatonia (con cui non a caso Åkelfedt aveva brevemente collaborato per l’album "Brave.Murder.Day."), contaminato da quel gothic doomeggiante di inizio anni novanta portato alla ribalta da My Dying Bride o Paradise Lost.

Detto questo, l’attitudine compositiva degli Opeth è visceralmente progressive: pezzi mediamente lunghi, strutturati in modo non lineare, caratterizzati da dualismo fra parti di metallo pesante alternate a intermezzi e digressioni acustiche, un modus operandi compositivo studiato con lo scopo di alterare il mood della canzone, in modo da ottenere un climax narrativo che conferisce una vita propria a ogni singolo attimo dei pezzi.

Pezzi legati fra loro da una storyline ben definita, trattandosi di "Still Life" siamo in presenza di un concept dai connotati drammatici e altamente emotivi. La copertina e l’artwork a cura di Travis Smith, incentrati su tonalità di colori neri, scuri e rossi, sono stati concepiti appositamente per presentare una tragica storia di ingiustizia sociale, odio, vendetta e passione. Le atmosfere che respiriamo durante l’arco del platter sono prevalentemente tetre, plumbee, opprimenti, decadenti, talvolta addolcite da chitarre acustiche e passaggi che pagano un forte tributo al progressive anni ’70, ossia quello che è il genere prediletto da Åkelfedt.

"Still Life" è ambientato in una distopica società teocratica in un tempo non definito, culturalmente arretrata, sottomessa, fanatica e devota alla propria divinità, imbottita di pregiudizi e credenze arcaiche. Il protagonista del racconto, nato con deformità fisiche, a causa di esse viene malamente cacciato dalla gente del proprio villaggio e viene additato come creatura impura; farà ritorno 15 anni dopo per ritrovare Melinda, suo unico amore a cui non ha mai smesso di pensare per tutto questo tempo , e per rivalsa, cercando vendetta nei confronti di coloro che lo bandirono. Un reietto della società, combattuto fra sentimenti d’odio per la comunità che lo ha ripudiato, e una forte pulsione verso la mai dimenticata Melinda. Ogni testo dell’album, narra in ordine cronologico lo svolgersi degli eventi, Mikael Åkelfedt ha acquisito rispetto al passato una proprietà di scrittura molto più complessa e forbita, consigliamo caldamente di approfondire i testi in rete, ne vale veramente la pena (anche nella pagina wikipedia dedicata all’album, una volta tanto, viene offerta un’analisi di ogni singola canzone di Still Life, per ciò che concerne l’aspetto lirico).

L’album parte con "The Moor", pezzo superlativo di una classe assoluta, introdotto da note delicate e al contempo conturbanti, la canzone non tarda ad assumere quei connotati oscuri su cui gli Opeth hanno improntato la propria struttura ritmica, ovviamente oltre al tripudio di ferocia che emano la coppia di chitarre distorte su cui viene sputato un growl ruggente, non mancano momenti rilassati, in cui il climax si fa più introspettivo. Åkelfedt dimostra di aver compiuto notevoli progressi riguardo l’uso della propria voce in modalità pulita, mostrando una rinnovato approccio melodico. Oltre undici minuti di alta scuola, di puro progressive moderno.

Altrettanto magistrale è la seguente "Godhead’s Lament", altro pezzo lungo e molto articolato che sfiora i dieci minuti. Lo stile adottato è il medesimo, tutte le composizioni si spostano su queste coordinate esecutive, nonostante ogni pezzo sia in possesso di una spiccata personalità e vita propria. Eccezione fatta per "Benighted", unico pezzo interamente acustico dell’album, contraddistinto da noti dolci e una performance intensa e soffusa di Åkelfedt, dove nelle vesti di poeta/menestrello scrive una lettera a Melinda. L’arpeggio iniziale è un chiaro tributo a "Never Let Go" dei Camel. Alle atmosfere pacate si aggiunge "Face of Melinda", canzone dalle due facce che si elettrizza nella seconda metà.

Chiude l’album in modo encomiabile "White Cluster", punto altissimo dell’album nonché di tutta la carriera degli Opeth, disperata e furente, dura e poderosa, che narra l’epilogo della sorti del reietto protagonista del racconto, ripudiato dalla propria gente, nel tragico capitolo finale. Facciamo i bravi e non spoileriamo ulteriormente ciò che avviene, siamo rammaricati se ciò non vi piacerà, ma se speravate nell’happy ending, andate poi a intrattenervi con un musical della Disney, non con un concept album degli Opeth, eccheccazzo... Da applausi a scena aperta anche gli assoli qui presenti, i migliori dell’album. Pezzo monumentale.

"Still Life" è, in conclusione, album da massimo dei voti, che rasenta quanto di meglio gli Opeth abbiano prodotto durante la loro carriera, partorito durante il periodo della loro massima vena creativa.

- Supergiovane

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