venerdì 11 ottobre 2019

Opeth: "In cauda venenum" (2019)

Due settimane fa oggi è stato pubblicato "In cauda venenum", ultimo album degli svedesi Opeth, sia nella versione cantata in svedese che in quella cantata in inglese.
L'album prosegue il flirt di questi sperimentatori dell'heavy metal e del death metal con il progressive rock degli anni settanta. Certamente si tratta di un altro disco che punta più sugli appassionati del prog vintage che non del death metal. Ma è un motivo sufficiente per ignorarlo?


(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y2znyqgf)

La carriera di ogni artista che si rispetti conosce sempre un certo grado di cambiamento nel passare degli anni. Che la si voglia chiamare 'evoluzione' o che si vogliano usare locuzioni meno adulatorie ('svendersi al mercato', 'periodo di stanca') a seconda del proprio gusto, tale dinamica è innegabile e coinvolge quasi ogni gruppo o artista di un qualsiasi genere musicale. Senza voler andare troppo nel filosofico, il cambiamento è nella natura delle cose: 'panta rei'.

Per gli Opeth capitanati da Mikael Åkerfeldt il cambio di passo nel loro modo di comporre è stato tanto repentino da risultare traumatico, soprattutto per le schiere di fan che si erano guadagnati nella loro prima fase della carriera. Album come "Blackwater park", il doppio "Deliverance" e "Damnation" e infine "Ghost Reveries" sono riconosciuti dalla critica in generale come capolavori assoluti del genere death metal, nonostante le chiare caratteristiche prog e la sapiente tecnica del gruppo svedese (sia strumentale che compositiva) impedisca di assegnar loro una etichetta precisa.

Con "Heritage" però si apre una nuova fase per Mikael Åkerfeldt e soci: il cantato growl viene sostituito con linee vocali più armoniose (ma mai scontate) e le chitarre distorte lasciano spazio a suoni più vicini ai grandi gruppi prog anni 70. Un mutamento così improvviso ha ovviamente spiazzato critica e fan, che si sono divisi tra quelli che vivono questo cambio di passo come un vero e proprio tradimento delle origini e quelli che considerano queste sonorità solo il naturale maturare della band e il desiderio di sperimentare altri suoni.

"In Cauda Venenum" si inserisce esattamente nel solco tracciato da "Heritage": ritmiche prog mai banali, chitarre seventies leggermente ovattate e un cantanto del frontman che convince davvero tutti, l'ennesima prova che Åkerfeldt cura molto questa parte, dimostrata anche dal fatto che l'album è uscito in due versioni in lingua svedese e in lingua inglese.

Tra le canzoni più interessanti di questo album sono sicuramente degne di nota "The Garroter", grazie alla sua sonorità tipicamente jazz ed atmosferica che ci fa capire che siamo di fronte a musicisti di razza, e "Heart in Hand" che ha il grande pregio di essere una canzone di facile presa ma allo stesso tempo rappresentativa di un disco non adatto a tutti. Della stessa canzone è mirabile l'outro acustico, che richiama immediatamente quel capolavoro di "Damnation" e che ci fa sperare bene per il futuro.

In conclusione, è innegabile che questo album non convincerà i fan della prima ora e che gli Opeth devono ancora trovare l'alchimia giusta per portare a compimento questo percorso. Allo stesso tempo però, il consiglio è quello di lasciare da parte i pregiudizi e le aspettative e lasciarsi portare dalle complesse melodie di questo album: non sarà forse l'album perfetto,ma la strada è segnata e le capacità per fare la differenza ci sono. Diamogli tempo.

- Meemee

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