sabato 26 ottobre 2019

Incubus: "Make yourself" (1999)

26 di ottobre, anno 1999: i californiani Incubus pubblicano il loro terzo album, "Make Yourself", lavoro che riscuoterà un enorme successo di pubblico, diventando il loro masterpiece campione di vendite.



(il disco si può ascoltare qua: https://tinyurl.com/y4s7dqbs)




Reduci da quello che è uno dei capisaldi del crossover, ossia "S.C.I.E.N.C.E." , gli Incubus, non paghi del loro successo, optano per virare verso sonorità più affabili, maggiormente appetibili per il grande pubblico. 

Vittima di questa decisione strategica fu il dissidente DJ Lyfe, il cui contributo alla consolle aveva contribuito in modo significativo a fare la fortuna del gruppo. Osteggiando la scelta di ampliare il proprio bacino di utenza, Lyfe venne silurato non senza polemiche, e con una successiva causa legale intrapresa qualche anno più tardi da parte di quest’ultimo verso gruppo e management per questioni di royalities. Lyfe, dopo quest’episodio, non intraprenderà mai più nessuna collaborazione con alcuna band, limitandosi a fare il disc jockey da club e dedicandosi contemporaneamente alla sua carriera di street artist. Il suo posto vacante verrà riempito da Chris Kilmore (in arte DK), ottimo poliedrico musicista e abile scratchatore, così come il suo predecessore.  

Al lavoro con il nuovo produttore Scott Litt (già al lavoro per i R.E.M. durante il loro periodo d’oro, nonché con i Nirvana post-"Nevermind"), il gruppo smussa e alleggerisce il proprio sound, modellando la stesura dei pezzi verso una forma più tradizionale (mantenendo la propria indole funky), in cui la voce adamantina del carismatico frontman Brandon Boyd (a ragione investito del titolo di 'nuovo Mike Patton') fa da propulsore principale. 

Simbolo della transizione degli Incubus è "Drive", il loro pezzo più popolare, composizione semiacustica accompagnata da una base campionata, il mood 'da viaggio' dolceamaro giocato sulle suadenti corde vocali di Boyd diverrà il non plus ultra su cui il gruppo giocherà il resto della propria carriera (come dimostreranno in futuro con altri successoni quali il supersingolo "Love Hurts"), compiendo definitivamente la transizione verso lidi puramente alternative rock. 

"Pardon Me" fu invece il singolo di lancio per promuovere l’album (ne venne registrata anche una versione acustica), la canzone possiede uno dei refrain più azzeccati dell’intera carriera del gruppo, e alterna atmosfere soffuse e giochi elettronici dove chitarra, piatti e giradischi si rincorrono. 

Sulla cresta dell’onda, spettò alla suadente "Stellar", scelta come secondo singolo, sfruttare la forza propulsiva proseguendo l’ascesa nelle charts. Anche in questo caso, le melodie e le linee vocali scritte da Boyd sono estremamente accattivanti e di immediato impatto. 

Il vero gioiello dell’album è però "The Warmth", mid-tempo giocato su riff e feed chiaroscuri puntellati (che ricordano vagamente i Korn di "Follow the Leader" e "Issues"), e su un ritornello fantastico interpretato in modo molto coinvolgente da Boyd, mentre il sempre prezioso chitarrista Mike Einziger si diletta con quel distorsore che tanto andrà di moda pochi anni più tardi all’interno del genere Alternative. 

L’album trova spunti notevoli anche nella title-track, nell’opener "Privilege" (ancora parzialmente legata alle sonorità dei primi due album) e nella dolce ballad corganiana "I Miss You". "Battlestar Scralatchica" (ironico gioco di parole ispirato dalla note serie tv sci-fi) è una spassosa strumentale dove finalmente anche il funambolico bassista di scuola claypooliana Dirk Lance e l’ottimo drummer Jose Pasillas possono dare sfogo alle loro pregevoli doti individuali mostrate nel precedente album, e qua tenute a freno in favore dell’alchimia compositiva collettiva. 

Nel complesso, il disco scorre che è una bellezza per la sua intera durata di poco più di tre quarti d’ora, diluiti in tredici pezzi di livello compreso fra il notevole e l’apprezzabile. Si, non sono più gli Incubus che ci ricordavamo, ma ci garbano parecchio ugualmente.


- Supergiovane

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