giovedì 17 ottobre 2019

Billy Joel: "Storm Front" (1989)

Il 17 ottobre di trent'anni fa esce anche "Storm Front", undicesimo album in studio del cantautore newyorkese Billy Joel, che giunto ai quarant'anni e interessandosi più di altri al clima da fine della Guerra Fredda (con il Muro di Berlino prossimo a cadere) pubblica un ottimo disco pop rock che riflette da un lato sulla sua vita e sulla sua età e dall'altro sulla storia del secondo Novecento.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/y45ft9ng)



Diciamo la verità: "The Bridge", disco di Billy del 1986, non aveva proprio convinto. Certo, c'erano un paio di belle composizioni, ma il resto dell'album era fatto di riempitivi di buon livello, alcuni dei quali sembravano scritti più perché ci si divertisse Billy con gli amici che non per intrattenere il pubblico.
Poco male, naturalmente: un artista dovrebbe scrivere per se stesso; però restava un album poco interessante, ecco.

"Storm Front" è invece un ottimo disco di pop rock classico: ci sono i ritornelli da mandare a memoria, le ispirazioni da Elton (John) e Bruce (Springsteen), meno r&b stolido e più tiro nelle canzoni. E c'è anche la guerra fredda, questo è un disco che esce poco prima della caduta del Muro di Berlino, ed è un disco che dopo il tour di Billy Joel nell'Unione Sovietica nel 1987, parla di fine delle ostilità e di amicizia, e ripensa alla storia del secondo Novecento, nell'anno in cui Billy Joel stesso compie quarant'anni, in termini molto meno bianchi e neri della media degli autori americani, al punto che siamo ben felici di passare sopra a certi versi facili che da sempre hanno caratterizzato l'ex-pugile di Long Island per apprezzarne gli intenti e il modo popolare, quasi populista, di esprimerli.

Probabilmente per essere sicuro di vendere il più possibile, Billy si fa anche aiutare da Mick Jones, il chitarrista e leader dei Foreigner, che produce l'album e suona in "Storm Front" e "State of Grace", oltre a prestare la voce in diverse tracce. Oltre a Mick e Billy, il suo gruppo si compone del batterista Liberty DeVitto, ultimo superstite della band storica che lo aveva accompagnato per oltre un decennio, del nuovo bassista Schuyler Deale, del tastierista Jeff Jacobs e della cantante e percussionista Crystal Taliefero. Oltre a Mick Jones, è il chitarrista David Brown a occuparsi dei soli. Numerosissimi gli ospiti, tra cui spiccano il grande violinista classico Itzhak Perlman su "The Downeaster Alexa", i Memphis Horns Andrew Love e Wayne Jackson su "Storm Front", il cantante Richard Marx e Joe Lynn Turner (ex-cantante di Fandango, Rainbow, Yngwe Malmsteen, Deep Purple).

Ma parliamo un po' del disco: almeno metà dei pezzi dell'album sono pop di una perfezione rara, e varia, perdipiù. "We Didn't Start the Fire" è certamente la traccia più famosa, un synth pop incalzante in cui Joel descrive rapidamente quarant'anni di storia americana (e non solo), ma talmente orecchiabile da superare la mera catalogazione.

Spiccano anche le grintose "The Downeaster Alexa" e "I Go to Extremes", oltre alle ballate "Leningrad", che descrive l'amicizia fra Billy Joel e l'artista russo Viktor Razinov, sorta durante il suo tour del 1987, e "And So It Goes", che chiude l'album con un solo piano e voce.

Il resto dell'album è pop/r&b gradevole e, spesso, nulla più; fra queste canzoni minori almeno "That's not her style" ha un bel ritornello e "State of Grace" una ottima strofa, mentre le altre suonano poco più che riempitivi inoffensivi che ricordano -ahinoi- "The Bridge".

A ogni modo, quando si mette sul piatto un disco di Billy Joel non ci si aspetta di sentire Frank Zappa o i Cannibal Corpse, quindi il punto non è chiedersi che tipo di musica ci si troverà davanti ma se le canzoni valgono la pena di essere ascoltate. E in questo caso sono parecchi i brani che ne valgono la pena, per cui l'album va considerato complessivamente ben riuscito.

- Prog Fox



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