sabato 21 settembre 2019

Nine Inch Nails: "The Fragile" (1999)

"The Fragile", doppio album dei Nine Inch Nails, festeggiava i vent'anni il 21 settembre.
Vero mostro della durata di oltre un'ora e mezza, "The Fragile" è considerato uno dei prodotti più importanti della carriera dei Nine Inch Nails e del loro leader Trent Raznor, affiancato qui dal tastierista Charlie Clouser - Music, dal chitarrista Danny Lohner e dal batterista Jerome Dillon (sebbene gran parte delle batterie siano programmate).



(l'edizione Vinyl/2017 Definitive Edition si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y32j62en)
La discesa agli inferi di Trent Reznor è uno dei cardini più affascinanti della produzione musicale degli anni 2000: "The Downward Spiral" del 1994 è
un rumoroso e complicato manifesto di intenti, viscerale e avvolgente, in cui le spire metalliche delle macchine si uniscono alle carni e ai respiri.

In quella che è una prassi che sembra abbastanza consolidata in quel periodo, al disco manifesto segue un'opera più dilatata e (positivamente) prolissa: ed è il caso di "The Fragile", 1999.
Doppio disco, in cui la durata estesa serve a mostrare compiutamente i due lati della medaglia, a contenere una personalità tanto debordante quanto
complessa e - appunto - fragile.
Tutte le tracce nascono sotto il segno della contemplazione della decadenza, ammiccando e giocando - camminando su un ciglio più volte attraversato - con la morbosità e le parti buie della mente.
"Somewhat Damaged" si apre con un arpeggio quasi scordato e dissonante che subito si trasforma nella consueta tempesta animalesca ed adrenalica, nella quale appaiono i soliti demoni ("Too fucked up to care anymore").
Un'epica e melodrammatica spirale si stringe ("The Day The World Went Away") e toglie quasi sempre il respiro (solo la pausa di "The Frail" giunge a spezzare per un momento l'assedio). I brani si susseguono continui ma non piatti, riuscendo nell'intento di dipingere la tela di nero ma in modo non uniforme, lasciando che essa metta in evidenza i suoi squarci e i tagli ("The Wretched", il perfetto ed assillante manifesto di "We Are In This Togheter").
Tra le tracce che completano il primo dei due dischi spicca sicuramente la title track, che insinua nel tessuto cupo dell'opera il tema dell'umano cuore: "I won't let fall apart", ed è una promessa commovente, soprattutto se letta nella chiave della dipendenza e della fragilità.
"Just like You Imagined" è un clamoroso e potentissimo strumentale che mette in luce la qualità compositiva e esecutiva di Reznor e dei suoi collaboratori.
Ed altrettanto fa la spiazzante "La Mer", che prosegue in modo sorprendentemente sognante e soffuso la prima parte dell'opera, doppiata da "The Great Below", anche essa straniante, dolorosa e dilatata.

Il sipario si riapre in piena catarsi: "The Way Out Is Through", programmatico fin dal titolo, è una fucilata adrenalinica. Perfetta apertura nei concerti della band, parte con un soffuso pulsare nel quale si intuisce un sussurro quasi diabolico. Il tutto si accende con studiata maestria (da antologia il crescendo della tessitura elettronica, che porta all'ingresso di voci e percussioni) e altrettanto splendidamente si acquieta: siamo ancora in viaggio, il cammino sul lato oscuro continua. Forse si è giunti ad una accettazione dello stato delle cose (la via di uscita si è forse trovata):
le canzoni di questo secondo disco sembrano più legate alla volontà di produrre ottimi brani che non di squadernare psicosi e traumi.
Non si tratta, sia chiaro, di brani rilassati: si ascolti "Where Is Everybody?", che suona davvero come un urlo nel vuoto alla ricerca di aiuto.
O la claustrofobica "The Mark Has Been Made", altro strumentale di gran classe. Ma "Please", "The Big Come Down" o "Starsfuckers Inc" suonano - benissimo, tra l'altro - forse più libere e sufficienti a se stesse.
Ovviamente però il cielo non è assolutamente sereno: e ce lo ricordano "I'm looking forward to joining you, finally" e soprattutto la conclusiva e quasi spettrale "Ripe (With Decay)".

Non è un disco dal cui ascolto si esce pacificati o rassicurati, questo è certo. Non è una seduta terapeutica accomodante: ma certe ferite è bello
anche guardarle in faccia, attraversarle e provare vedere cosa c'è oltre.

- il Compagno Folagra

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