sabato 14 settembre 2019

Jethro Tull: "Stormwatch" (1979)

"Stormwatch", l'ultimo album dei Jethro Tull degli anni settanta, è un disco triste. Immensamente triste. Sebbene la musica sia invernale, elegiaca e agrodolce, è triste soprattutto per le vicende extramusicali legate alla sua pubblicazione. Ma andiamo con ordine.


(disco completo con quattro bonus track qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PLp1f2I3-074CVCmkuiukIpxSe9ly3M5ZQ)


Dopo il concerto di San Antonio del 1° maggio 1979, il bassista e seconda voce John Glascock, che era entrato nella formazione britannica all'inizio del 1976, viene messo a riposo a causa di un grave problema congenito al cuore. Glascock si rifiuta di seguire le indicazioni dei medici e continua uno stile di vita autodistruttivo da rockstar, per cui Ian Anderson pur stipendiandolo lo esonera dall'attività in studio a metà delle incisioni di quello che sarà il dodicesimo album della band, "Stormwatch", pubblicato a settembre del 1979.

Impossibilitato a partecipare al successivo tour, Glascock viene sostituito temporaneamente da Dave Pegg, bassista degli appena disciolti Fairport Convention. La sostituzione diventa definitiva il 17 novembre del 1979, quando Glascock muore all'età di soli 28 anni.

Dopo la conclusione della tournée ad aprile del 1980, la formazione storica, che era stata insieme per quasi un decennio, si disintegra. Il batterista Barrie Barlow, molto amico di Glascock, è il primo a decidere di lasciare. Anderson decide di incidere un disco solista, ma le pressioni della casa discografica e i problemi personali lo trasformano nel tredicesimo album dei Jethro Tull, "A", di fatto portando al licenziamento dei tastieristi John Evan e David Palmer. Negli anni ottanta del gruppo entreranno così solo Ian Anderson, dispotico leader, cantante, flautista e principale compositore del gruppo, il chitarrista e spalla storica Martin Barre e il nuovo bassista Dave Pegg. Il nuovo corso, purtroppo, dopo qualche incertezza comunque interessante ("A", 1980) e un promettente, fertile periodo musicale ("Broadsword and the Beast", 1981-1982), non manterrà il livello della formazione storica.

Tutte queste vicende tragiche, contornate di animosità personali e difficoltà pratiche, segnano in parte il carattere di "Stormwatch", il terzo album della trilogia folk dei Jethro Tull. Se "Songs from the Wood" rappresentava la primavera e "Heavy Horses" l'autunno, "Stormwatch" è certamente l'inverno - un disco segnato da colori freddi, dalla minaccia dell'inquinamento petrolifero ("North Sea Oil") e della guerra nucleare ("Dark Ages"). Il mare è ancora protagonista in "The Flying Dutchman", storia dell'Olandese Volante, le brughiere scozzesi lo sono in "Old Ghosts", mentre "Dun Ringill" racconta nuovamente l'oceano Atlantico che si scontra con gli scogli sotto i resti di una antica fortificazione risalente all'Età del Ferro, sede del Clan MacKinnon sull'isola di Skye.

Musicalmente siamo nella regione del progressive rock tinto di folk e di romanticismo tipico di questa fase della carriera dei Jethro Tull, simboleggiato dal bello strumentale "Warm Sporran", che chiude il lato A con umorismo e grazia.

La sarcastica "North Sea Oil", la poetica "Orion" e l'incisiva "Something's on the move" corrono su sentieri più rock e più spigolosi, con buoni riff di chitarra di Martin Barre e coordinate ritmiche tese dalla batteria del grande Barrie Barlow.

"Home" è una ballata folk rock illuminata da una commovente figura di chitarra elettrica di Barre. "Dark Ages" è invece la mini-suite progressiva, quasi dieci minuti di lunghezza che però non convincono appieno - nonostante la solidità dell'esecuzione, il gruppo non riesce a variare i temi musicali quanto un brano di tale lunghezza richiederebbe.

I pezzi finali del disco si spostano verso atmosfere dolorose ed elegiache: lo fa prima "Old Ghosts", con il suo lento incedere marziale, prosegue "Dun Ringill", in cui Ian Anderson si accompagna da solo alla chitarra acustica; e concludono il disco due dei pezzi migliori, la splendida "Flying Dutchman", in cui gli arrangiamenti del gruppo ne mostrano la fantastica qualità visionaria, nelle scelte ritmiche che simulano l'andamento di una nave sulle onde dell'oceano, e quello che è forse il migliore brano di tutto il disco, lo strumentale "Elegy", composto da David Palmer come omaggio al padre recentemente deceduto, e che, posto in finale di tutto l'album, ne amplifica il significato doloroso di conclusione - la morte del padre di Palmer, la morte di John Glascock (che aveva fatto in tempo a suonarvi il basso prima di essere dimissionato) e la fine di una collaborazione decennale di Anderson e Barre con Barlow, Evan e Palmer.

"Stormwatch" è non solo l'ultimo disco della formazione classica dei Jethro, ma anche il canto del cigno degli anni settanta, il periodo migliore e più fortunato di questi gentlemen di campagna del progressive rock britannico.

- Prog Fox

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