venerdì 13 settembre 2019

Gomez: "Liquid Skin" (1999)

Il 13 settembre di vent'anni fa veniva pubblicato il secondo album degli inglesi Gomez, "Liquid Skin", che conteneva una delle loro canzoni più celebri, "We haven't turned around", nota soprattutto in quanto contenuta nella colonna sonora del film "American Beauty" (uscito appena cinque giorni prima).



(disco completo qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PLqLbZZ0xNMN728UiB69HRcwtqZI2x18v1)



Voce ruvida come la carta vetro, richiami alla west coast psichedelica che si uniscono al brit pop nobile (quello sceso dalla penna di Sir Paul per
intenderci), fascinazioni cinematografiche da romanzo hard-boiled degli anni 50 che si uniscono a quadri di vita della periferia inglese.
I Gomez del loro esordio, "Bring It On", sorprendono per caratura, ispirazione e maturità: ragazzi, anzi ragazzini, che si muovono con maestria, sincerità
e talento in una marea vasta di riferimenti, citazioni, innovazioni; difficile restare indifferenti a tutto ciò e difficile non attendere i giovani britannici alla prova del secondo disco con curiosità, anzi: con entusiasmo.

"Liquid Skin", che vede la luce nel 1999, conferma la linea stilistica della band e non delude, lo diciamo subito.
Certo, la riuscita compatta dell'esordio è obbiettivo difficile da doppiare completamente e anche nell'ascoltatore lo stupore suscitato dall'ascolto di "Bring It On" è meccanismo che già è stato sfruttato.
Ma, con tutte queste premesse, "Liquid Skin" si rivela un degno successore: si inizia in levare, con "Hangover", "Revolutionary Kind" e "Bring It On", che riprendono il discorso lì dove lo si era interrotto.
Pop/rock di granitica consistenza, con i nostri che operano quasi come una big band: arrangiamenti ricchi, canto affascinante e roco che si alterna a cori sempre centrati e suadenti.
"Blue Moon Rising" è uno dei punti cardine del disco, pezzo che percorre (ancora una volta) i binari della nostalgia e del crooning confidenziale.
"Las Vegas Dealer", vivace ma alla lunga forse meno avvincente, introduce assaggi di salsa tex-mex nel piatto e va preparando la strada al brano singolo e simbolo di questa stagione dei Gomez: "We Haven't Turned Around". Singolone di successo, anche cinematografico, è sicuramente un brano di impatto
e di avvincente ascolto.
Risulta tuttavia disomogeneo rispetto al complesso del disco; disomogeneità benvenuta, sia chiaro, ma sicuramente è con la successiva "Fill My Cup" che i Gomez rientrano nei loro binari, forse più padroneggiati e consoni.
"Rhythm And Blues Alibi" è un gradevole brano di passaggio verso l'ambiziosa parte finale del disco, introdotta dalla dolce ballad "Rosalita" che ci riporta ancora una volta sulla frontiera californiana.
Ed è esplicito il riferimento a tale immaginario west-coast nei due pezzi conclusivi.
"California" parte etereo e allusivo, soffuso come una nebbia sulle colline di Los Angeles, per poi introdurre riff e uptempo, martellati dalle percussioni.
Pezzo ambizioso, si è detto, e sostanzialmente riuscito: così come lo è "Devil Will Ride", perfetto brano di chiusura che ci lascia con una filastrocca alla Beach Boys, foriera di good vibrations, che va sfumando in un sontuoso finale orchestrale.

Bello, bello questo disco dei Gomez: figlio dei suoi tempi ma originale e ben distinguibile, coerente e con un percorso stilistico chiaro e seguito in modo completo.
Questo filotto iniziale non sarà poi purtroppo seguito da una produzione in grado di proporre picchi simili: ma in questo fantastico triennio, fatto di Rosalita da conquistare in un posto non bene identificato, tra Tijuana e la periferia di Southport, i Gomez ci hanno fatto divertire, e parecchio.

- il Compagno Folagra

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