martedì 10 settembre 2019

Franco Battiato: "l'Era del Cinghiale Bianco" (1979)

Il 10 settembre di quarant'anni fa esce "L'Era del Cinghiale Bianco", primo album pop del cantautore e musicista siciliano Franco Battiato e uno dei massimi capolavori della sua carriera.
Il disco è quello in cui Battiato rivoluziona l'art-pop italiano cannibalizzando le proprie pulsioni sperimentali, le sonorità del prog à la Pink Floyd di "Dark Side of the Moon" e "Wish you were here", lo spirito intellettuale della new wave americana di David Byrne, tutto col contorno di una pletora di musicisti pazzeschi come Alberto Radius e Tullio De Piscopo, segnando così tutto il decennio musicale italiano successivo.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y5edzhoa)




Dopo un inizio tra la psichedelia, il progressive rock e l'avanguardia, Franco Battiato si addentra sempre di più nel mondo della musica contemporanea, e i suoi dischi diventano sempre più astratti, mentre il canto e le melodie ne svaniscono progressivamente. Culmine di questa fase è "L'Egitto prima delle sabbie", disco del 1978 formato esclusivamente da due brani di musica minimalista, poche sequenze di note ripetute per quindici minuti l'uno. Il percorso di eliminazione, di cancellazione, è così terminato e Battiato decide di reinventarsi musicalmente da capo.

Da dove partire, però? Battiato osserva la musica popolare dell'epoca e nota alcune cose che lo colpiscono: il progressive rock è giunto al termine della sua corsa con "Dark Side of the Moon" e "Wish you were here" dei Pink Floyd, che hanno cristallizzato tecniche di produzione, forma degli arrangiamenti e tematiche liriche, influenzando con le loro vendite un numero immenso di artisti. Poi c'è la new wave, in particolare quella americana dei Talking Heads, che sta emergendo, c'è l'approccio creativo al pop rock di dinosauri come Brian Eno e David Bowie. E naturalmente in Italia hanno sfondato ormai i cantautori, spesso politicizzati, ci sono Guccini, De Gregori, De André, ma anche uno sperimentatore pop come Battisti.

Tutte queste influenze saranno presenti nel nuovo corso di Battiato in misure diverse, reinterpretate però in un linguaggio completamente personale e con una sensibilità lirica pressoché unica - che non del tutto a torto gli varrà anche accuse di pretenziosità; ma quanto può importare una accusa di pretenziosità a uno che ha inciso una cosa indefinibile come "L'Egitto prima delle sabbie"?

E allora la produzione e gli arrangiamenti: qui la base di partenza sono appunto i Pink Floyd, temperati dall'influenza del Brian Eno pop (rispetto al quale Battiato percorre una carriera opposta - sperimentale, poi sempre più ambient e infine improvvisamente pop, mentre quella di Eno nasce sperimentale, diviene sempre più pop e poi improvvisamente ambient).

Su tutto l'apporto fondamentale del maestro Giusto Pio, valente violinista e direttore d'orchestra che sarà per anni la spalla creativa dell'autore siciliano, che integra il patrimonio musicale italiano colto nel tessuto pop dissezionato da Battiato.

E ancora, l'interesse da sempre vivo in Battiato per la musica mediterranea, per la world music ante litteram, prima di David Byrne, prima di Peter Gabriel - non solo prima di loro nel contesto della musica pop ma diversi anni prima se si pensa a quanta Battiato l'abbia già affrontata nei suoi anni di sperimentazioni.

Infine, il rock: i musicisti scelti sono in parte provenienti dal mondo della musica colta, ma non mancano i rocker a tutto tondo. Alberto Radius, sublime chitarrista della Formula 3, poi solista e braccio destro di tanti tanti artisti italiani, a partire da Lucio Battisti; Tullio De Piscopo, batterista jazz rock napoletano dal talento semplicemente mostruoso. E ancora Julius Farmer bass player, un bassista elettrico formatosi con il rhythm'n'blues di New Orleans, portato in Italia dal jazzista Giorgio Gaslini e divenuto qui amico di Radius stesso, che colora ogni traccia con una raffinatezza e un tocco rari.

Dalla musica colta, oltre a Giusto Pio, arrivano i pianisti Antonio Ballista (esecutore per Luciano Berio, Ennio Morricone, Salvatore Sciarrino), Danilo Lorenzini e Michele Fedrigotti: pagina ufficiale (che in quegli anni si esibiscono anche come duo pianistico, dall'esecuzione dell'integrale di Mozart al pianoforte a quattro mani, fino alle proprie composizioni minimaliste per piano e organo); mentre Roberto Colombo, arrangiatore orchestrale e tastierista, vive al confine fra i due mondi, essendosi sporcato già da anni con il pop e il rock, in particolare entrando nella Premiata Forneria Marconi alla vigilia del loro famoso tour con Fabrizio De André.

Tutto il contesto quindi è studiato alla perfezione, arrangiamenti lussureggianti, produzione nitida a cura del partner di tanti lavori Angelo Carrara, in cui ogni strumento è valorizzato, musicisti di livello superbo. Mancano solo le canzoni. E anche qui non si può che togliersi il cappello dinnanzi a cotanta maraviglia.

Il brano che da il titolo al disco, "L'Era del Cinghiale Bianco", è anche il primo dell'album e ci introduce al particolare mondo spirituale e musicale di Franco Battiato, tra il Medio Oriente e i numerosi riferimenti esoterici - in questo LP sarà in particolare il francese René Guenon a far sentire la propria presenza. Qui Battiato ricorda l'associazione fatta dallo studioso fra il cinghiale sacro dei Celti e quello bianco degli Indù, e attende il ritorno dell'era del cinghiale bianco, che rappresenta presso questi ultimi l'era nella quale ogni uomo raggiunge la conoscenza assoluta sul piano spirituale. Musicalmente dominano gli arrangiamenti di Giusto Pio, mentre Radius tesse efficaci power chords di chitarra elettrica. Influenze arabe corrono lungo tutto il pezzo, in particolare nel gramelot arabo di Battiato in finale di brano.

Gli interessi spirituali di Battiato proseguono in "Magic Shop", in cui Guenon viene citato esplicitamente. Qui il cantautore siciliano lamenta la commercializzazione della religione e della spiritualità ("rubriche aperte sui peli del Papa", verso che peraltro rimuoverà nelle esecuzioni dal vivo degli anni successivi; "i mantra e gli hare hare a mille lire", "una signora vende corpi astrali, i Budda vanno sopra i comodini") e in generale pare scagliarsi contro la commercializzazione e la sterilità raffazzonata con cui l'occidente importa le filosofie orientali e contro la new age (tema presente già in "Pyramid" dell'Alan Parsons Project l'anno precedente - e Alan Parsons è ex-collaboratore dei Pink Floyd - tutto torna). Qui è la sezione ritmica di Farmer e De Piscopo a condurre magnificamente il pacato, sommesso brano su lente coordinate ondeggianti.

"Strade dell'Est" è il brano più rock e i protagonisti non a caso sono De Piscopo e soprattutto Alberto Radius, che chiude la canzone, zeppa di riferimenti storici e geografici al Medio Oriente, all'Asia Centrale e alla Via della Seta, con un assolo clamoroso. "Luna Indiana" porta a termine il lato A con un duetto di pianoforte fra Fedrigotti e Lorenzini, sul quale Battiato improvvisa una litania ispirata alla tradizione musicale araba.

"Il Re del Mondo" si rifa ancora all'opera di René Guenon per descriverci il signore della città di Agarthi (che influenzerà anche la saga di Martin Mystere, personaggio del fumettista Alfredo Castelli). Il Re del Mondo, pur volendo guidare gli esseri umani perché privi di illuminazione, toglie loro il libero arbitrio. A dominare la musica sono le tastiere e l'arrangiamento orchestrale, oltre al bellissimo unisono di basso e chitarra elettrica del tema strumentale, mentre il canto atarassico di Battiato si fa sempre più etereo e distante.

Il punto più alto dell'astrazione progressiva del cantante dalla cifra terrena arriva in "Pasqua Etiope", un brano di una morbidezza tale da strappare il cuore. Una figura in 6/8 di Julius Farmer al basso fa da tappeto ritmico per le evoluzioni straordinarie di un discreto eppure virtuosistico De Piscopo, mentre un oboe (crediamo) si inerpica straziato e straziante su un tema dolcissimo di fiati e l'invocazione religiosa dell'autore, un Kyrie, chiede la benevolenza di Dio sugli ascoltatori attoniti.

Si conclude poi il disco improvvisamente con un brusco ritorno sulla terra. Ancora De Piscopo e Farmer sono centrali al brano, con il batterista napoletano che arrangia una strepitosa figura ritmica in 7/8, mentre le percussioni colorano il brano e archi e cori angelici forniscono la base sulla quale un Battiato tornato terreno canta, sentimentale, romantico, la febbre dell'amore, l'amore per l'amore, completando il binomio tra spirituale e sensuale che è forse il fine ultimo di questo disco meraviglioso.

Con questo album, Franco Battiato reinventa il pop italiano e lo prepara all'ingresso negli anni '80. Tra il 1979 e il 1985 seguiranno quattro album a suo nome (il più celebre dei quali è "la Voce del Padrone" del 1981) e importanti collaborazioni con Giuni Russo, Alice, Milva e Mino De Martino, che esploreranno in ogni possibile configurazione (e con un tocco di novità dato dalle nuove tecnologie degli anni '80) le idee musicali già presenti in questo capolavoro.

Esaurita la vena pop, così come aveva precedentemente esaurito quella avanguardistica dopo una lunga e onnicomprensiva meditazione, Battiato inizierà a esplorare la contaminazione fra musica sacra e musica d'autore alla fine degli anni '80. La fase più celebre e ammirata della sua carriera nasce però, già pressoché perfetta, con "L'Era del Cinghiale Bianco".

- Prog Fox

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