domenica 22 settembre 2019

Five Finger Death Punch: "War is the answer" (2009)

Il 22 settembre di dieci anni fa, i Five Finger Death Punch, americani di Las Vegas, danno alle stampe il loro secondo lavoro "War Is The Answer", reduci dal successo dell’esordio "The Way of the Fist", album che li proiettò ai vertici della scena metalcore americana, conosciuta anche come New Wave of American Heavy Metal.



(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y3whujwx)




Se il monicker Five Finger Death Punch (che d’ora in poi abbrevierò in 5FDP, che fa molto thug-life) non vi dice granchè, è normale, dato che qua in Italia non se li è mai filati quasi nessuno.

Magari solo ultimamente vi è capitato di imbattervi nel loro nome su Virgin grazie alla cover del noto pezzo blues/country "Blue on Black" di Kenny Wayne Shepherd, in cui hanno scomodato in qualità di ospite, oltre allo stesso Shepherd, anche il ben più noto Brian May per suonare gli assoli.

E nonostante nel vecchio continente non abbiano certo frotte di fan assatanati, in Nord America nel giro di qualche anno sono balzati ai vertici della scena metal.

"War Is The Answer" si presenta come un lavoro metalcore di buona fattura, dove al di là della perizia tecnica dei componenti a prevalere è un approccio compositivo tradizionale orientato verso la forma canzone classica. Non aspettatevi quindi qualcosa di così sconvolgente o sperimentale dalla proposta musicale del gruppo, aspettatevi un cazzutissimo metalcore in cui a svettare, oltre al fattore high-catchy delle canzoni naturalmente, sono il carismatico singer Ivan Moody, il pirotecnico chitarrista di origini ungheresi Zoltan Bathory, il gusto melodico negli assoli dell’altro chitarrista, la new entry Jason Hook (davvero validi i suoi assoli), e la solidità ritmica dettata dall’impeccabile batterista Jeremy Spencer e dal bassista Matt Snell, che svolge il suo compitino senza sbavature.

A differenza di altri validi colleghi della scena metalcore americana quali Killswitch Engage, Shadows Fall, August Burns Red o Unearth, i 5FDP presentano un sound sguarnito da quelle influenze swedish melodeath, rifacendosi al groove del post thrash novantiano di Pantera e Machine Head, a quello del nuovo millennio di Lamb of God e Chimaira, al nu metal più estremo di gruppi come Slipknot in primis, e pure per certi tratti anche agli Slayer nel loro periodo "Diabolus in Musica" e "God Hates Us All". L’approccio è ancora più grooveggiante dei suddetti gruppi, grazie a un’indole compositiva molto più radiofonica nella stesura delle linee vocali e dei ritornelli, grazie anche un Ivan Moody perfettamente a suo agio nei passaggi più aggressivi cantati in midgrowl, sia in quelli più melodici cantati con voce pulita, fortunatamente però lontana da quegli sdolcinati svolazzi emo che a volte hanno finito per contaminare il genere.

Già con l’iniziale "Dying Breed" i 5FDP pestano duro, con un concentrato ben dosato di groove in quantità abbondante, velocità e incazzatura. Un ottimo inizio, non c’è che dire, il migliore fra i pezzi più heavy dell’album. Non scherzano nemmeno le cazzute "Bulletproof" e la numetalleggiante "Burn It Down" (impreziosita da un lavoro chitarristico davvero notevole).

Nella quasi interezza del lavoro in questione, il gruppo si avvale di una tanto semplice quanto vincente formula compositiva: strofa aggressiva con voce sporcata, ritornello con voce pulita, strofa ripetuta, ritornello ripetuto, assolo, alternanza fra nuovo ritornello con voce sporca e pulita, e ultima ripetizione in clean. Certamente prevedibile, ma se siete alla ricerca di un ascolto tosto e disimpegnato, state ascoltando il gruppo giusto.

"No One Gets Left Behind" è l’esempio eccellente di come il gruppo sia sapientemente capace di alternare il doppio refrain alternando furia e melodia. "Hard To See" si muove invece su coordinate più easy listening, e anticipa la direzione in cui si muoverà in seguito il gruppo già partendo dal seguente album "American Capitalist", alleggerendo e domando la proria indole thrasheggiante, e offrendo maggiore spazio a un assetto ancor più melodico e orecchiabile. Un fattore che possiamo assaporare anche in "Walk Away" e "Crossing Over". Non manca nemmeno una power ballad, l’ottima "Far From Home", intensa, struggente e potente, uno dei pezzi migliori dell’album, nonché una evergreen della loro intera carriera, che raramente non viene proposta dal vivo.

Il gruppo si concede pure una strumentale ("Canto 34") dove Bathory e Hook danno ulteriore prova della loro classe, prima della cover "Bad Company" del supergruppo di hard rock settantiano Bad Company (presa dal loro esordio - ehm - "Bad Company") e della title track "War Is The Answer" posta in chiusura, altro pezzo solido che dispensa cazzotti a go-go e in quanto a cazzutaggine non latita di certo.

Questo è con tutta probabilità il lavoro più valido, un album incazzato e facilmente assimilabile, ottimo per chi cerca metal di nuova generazione senza troppi fronzoli come va di moda adesso fra il grande pubblico e adatto alla rotazione in radio e tv (Virgin, rigorosamente), vedi anche casi recenti come i Bad Wolves, di cui tra l’altro lo stesso Zolthan Bathory è produttore.

Del resto, i 5FDP sanno bene quando è il momento di andarci già duro, e quando adottare un approccio più paraculo.

- Supergiovane

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