sabato 28 settembre 2019

Creed: "Human Clay" (1999)

28 settembre 1999, i Creed pubblicano il fortunatissimo secondo lavoro "Human Clay". Il disco segue le orme del debutto "My Own Prison", stavolta affinando il songwriting e adottando un approccio compositivo più curato e tendenzialmente radiofonico.



(il disco completo con tracce bonus si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y6f4box9)



Il fortunatissimo "Human Clay", secondo lavoro dei Creed, segue le orme del debutto "My Own Prison", affinando il songwriting e adottando un approccio compositivo più curato e tendenzialmente radiofonico.

Il gruppo registrò l’album fra la fine del ’98 e l’inizio dell’anno seguente, con il chiaro obiettivo di rilasciarlo durante il 1999 nonostante "My Own" Prison si trovasse ancora nelle hit parade e stesse guadagnando gradualmente consensi. Comunque sia, assieme al producer John Kurzweg si optò per battere il ferro finché caldo, e sfruttare lo slancio propulsivo di cui il modern rock (o post grunge, che dir si voglia) stava godendo in quel periodo.

Squadra vincente non si cambia, così come per l’esordio troviamo sempre Scott Stapp alla voce, Mark Tremonti alla chitarra, Scott Phillips alla batteria e Brian Marshall al basso. Quest’ultimo non ebbe lunga vita all’interno del gruppo, venendo cacciato l’anno seguente per problemi di alcolismo (poi risolti), per intemperanze verso il già imprevedibile e irascibile Stapp e per aver minacciato di percosse Tremonti.

Come detto, dal punto di vista compositivo il gruppo, o meglio dire Tremonti e Stapp dato che i pezzi portano tutti la loro firma, dimostrano di aver affinato le rispettive capacità di scrittori di brani, oltre ad essere maturati individualmente (soprattutto Tremonti, che comunque all’epoca restava soltanto 'un buon chitarrista'). "Human Clay" fa leva in particolare su tre singoli che hanno trainato l’album a livelli inimmaginabili: "Higher", singolo di lancio pubblicato un mese in anticipo e subito esploso ai vertici delle hit parade, la romantica ballatona "With Arms Wide Open", e l’energica "What If" (prestata alla colonna sonora del film "Scream 3").

Preso atto di questa nuova propensione maggiormente radio friendly, bisogna dire che comunque il gruppo non ha affatto snaturato il proprio sound e la propria attitudine puramente rock di derivazione grunge, a metà strada fra gli Stone Temple Pilots e i primi Pearl Jam. Stapp, cantante da sempre discusso, amato e odiato per la sua particolare timbrica (oltre che le sue intemperanze extramusicali), calda, aspra e ruvida, lasciata vibrare grintosamente, si pone come terzo punto di una triangolazione fra Scott Weiland e Eddie Vedder. Tremonti poi, mantiene non solo inalterato, ma anche evoluto quel suo stile personale fatto dal connubio di arpeggi, parentesi acustiche e riff massicci, producendo quel sound polveroso e mistico in grado di ricreare quel desert mood da nativi americani introspettivo e spirituale che è poi il marchio di fabbrica dei Creed (messo in disparte nel successivo "Weathered").

L’apice di quanto appena descritto lo possiamo riscontrare nella formidabile "Faceless Man", ossia quello che è con tutta probabilità il pezzo più autoriale e sottovalutato del gruppo (e a parere di chi scrive, il loro brano migliore in assoluto), decisamente atipico in quanto privo di un vero e proprio refrain, e incentrato su un lavoro chitarristico da manuale. Stapp durante lo splendido bridge offre una prova maiuscola, alla faccia dei detrattori.

Si segnalano decisamente in positivo l’opener "Are You Ready?" e anche "Beautiful" e "Say I", due pezzi molto simili strutturalmente, nel loro modo di avvicendare strofe e arpeggi rilassati a esplosioni metalliche nel refrain. Anche "Wrong Way" è un pezzo molto d’atmosfera, capace di catapultare l’ascoltatore nel bel mezzo di uno di quegli stati di passaggio dell’America più selvaggia e deserta, davanti a uno di quei bivi in mezzo al nulla, senza cartelli o indicazioni stradali.

Qualche spanna sotto i pezzi citati troviamo "Never Die", composizione meritevole di interesse ma non avvincente come i brani che l’hanno preceduta. Sottotono anche la doppietta finale composta da "Wash Away Those Years" e "Inside Us All", non propriamente dei filler ma privi di quel mordente che ti aspetteresti dai Creed. Nell’edizione europea invece a chiudere il disco provvede "Young Grow Old", pezzo roccioso, decisamente heavy per gli standard del gruppo, gradevole ed energico ma non certamente trascendentale.

L’album raggiunse un successo stratosferico, vendendo in due anni oltre dieci milioni di copie solamente negli States e diventando il cinquantaquattresimo disco più venduto di tutti i tempi (le stime comunque risalgono a dodici anni fa, non possiamo escludere che abbia scalato ulteriori posizioni nel frattempo), con un conteggio complessivo che supera abbondantemente i trenta milioni. Con Napster appena nato e l’epoca digitale alle porte, "Human Clay" rappresenta l’ultimo grande best seller rock.

- Supergiovane

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